La cultura rimane al centro del confronto politico
di Mario Bozzi Sentieri
Partiamo dai “fondamentali”. Che cos’è la Cultura e a che cosa “serve”? Essa è la coltivazione spirituale di sé, secondo l’antica etimologia? E’ la razionalistica acquisizione degli elementi distintivi della personalità umana? E’ la conoscenza scientifica? E’ il segno dell’appartenenza, secondo la definizione che la vuole un insieme complesso, che comprende la conoscenza, la credenza, l’arte, la moralità, il diritto, il costume e le altre capacità acquisite dall’uomo come membro della società? In una società qual è l’attuale, la cultura appare come un segno di distinzione ed insieme di conoscenza e di appartenenza, capace di “informare”, di dare forma ad una società, di favorire l’identificazione dei cittadini e dunque l’integrazione. Questa visione identitaria della cultura può coniugarsi con l’idea di una destra non ideologica, cioè contraria ad ogni astrattismo culturale e dunque ad ogni pretesta egemonica. Sulla base di queste considerazioni “di cornice”, “Fare cultura”, anche all’interno delle Istituzioni, non può significare limitarsi ad una gestione di “routine”, puramente amministrativa, nella misura in cui Cultura vuole dire esprimere anche una scelta “di campo”, capace di fissare dei discrimini “di valore”, intorno a cui sviluppare un organico progetto di sviluppo. In questa prospettiva la metapolitica può svolgere un ruolo essenziale. Ripercorrendo, sinteticamente, il suo approccio al tema, Alain de Benoist ha, di recente, offerto non pochi spunti per una riconsiderazione del rapporto tra politica e cultura. In un’intervista concessa, nel febbraio 2024, alla “Revue des Amis de Jean Mabire” ed ora tradotta e pubblicata da “Diorama Letterario”, l’intellettuale francese non solo ha evidenziato il suo giovanile incontro con la metapolitica e, nel 1974, con gli di scritti di Antonio Gramsci, ma il senso del “ruolo della cultura come elemento determinante dei cambiamenti politici: una trasformazione politica forte consacra una evoluzione già intervenuta nei costumi e nelle menti. Il lavoro intellettuale e culturale contribuisce a questa evoluzione delle menti rendendo popolari valori, immagini, tematiche in rottura con l’ordine esistente o con i valori della classe dominante”. Senza volere, con ciò, confondere il livello politico con quello proprio della metapolitica, va sottolineato – ci dice de Benoist – che il potere culturale, quando è ideologicamente ben strutturato, “può avere l’effetto di una leva in rapporto a certe evoluzioni o situazioni politiche”. Non è però grazie all’azione di governo che può essere costruita una risposta contro-egemonica sul piano della cultura. Né è sufficiente fare riferimento ad un generico “gramscismo di destra” per metabolizzare un’organica strategia d’intervento culturale. La politica deve essere tenuta separata dalla metapolitica, questo – ci dice de Benoist – evidentemente non significa che la metapolitica possegga in sé una superiorità che ne potrebbe fare un modello assoluto, e neppure che fare metapolitica impedisca di interessarsi alla politica e di prendere posizione al cospetto di essa non in qualità di attore ma di osservatore”. Ad ognuno il suo, dunque. Ed è un bene che taluni facciano politica, perché è quello che sanno fare meglio. Ma la scommessa metapolitica “ha sicuramente un futuro, per la semplice ragione che esisteranno sempre dei poeti, degli scrittori, dei pittori, dei musicisti e dei teorici preoccupati di comprendere il proprio tempo e desiderosi di esercitarvi un’influenza”. Bisogna allora – aggiungiamo noi, con un occhio sulla realtà italiana – che metapolitica e politica imparino a confrontarsi, a dialogare, a sperimentare ipotesi sintetiche, senza snaturare le loro rispettive “attitudini”. Impegnata la prima (la metapolitica) a comprendere il proprio tempo, immaginando però anche il futuro e la seconda (la politica) a mettersi in sintonia ed in ascolto rispetto alla vasta realtà metapolitica, oggi rappresentata da circoli autonomi, blog, case editrici, periodici on line, Fondazioni culturali, singoli intellettuali. Questo rapporto può rappresentare una risposta “di metodo” utile per allargare le prospettive dell’agire politico, misurandosi sul terreno delle visioni e delle mentalità, su cui costruire più ampi e duraturi consensi elettorali. Alla politica, che dice di essere patriottica ed identitaria, va chiesta insomma una nuova sensibilità rispetto al “movimento delle idee” ed insieme una capacità sintetica (programmatica) di fronte ai nuovi e complessi problemi del tempo presente e alla necessità di enucleare risposte adeguate ed innovative. La sfida odierna, sfida culturale e politica insieme, deve essere allora spostata dalle rappresentazioni “di scuola” (destra/sinistra) ad una nuova presa di coscienza rispetto alle identità vecchie e nuove (locali, produttive, professionali, associative) e dunque alla capacità/possibilità di integrarle nel contesto degli scenari contemporanei. Per fare che cosa? La sfida oggi è quella di riuscire a dare voce all’Italia profonda, all’Italia non rappresentata dei piccoli centri d’eccellenza, delle identità nascoste, delle periferie emarginate. E dunque ai giovani, a cui vanno offerti spazi entro cui manifestare la propria creatività e canali adeguati per portarla alla ribalta. Bisogna portare la cultura al popolo e con esso confrontarsi, superando finalmente ogni sterile atteggiamento intellettualistico. Bisogna mobilitare energie e fantasie nuove, favorendo l’integrazione pubblico-privato. Bisogna attrarre risorse ed investimenti. E tutto questo va proiettato a livello internazionale, accettando la sfida della contemporaneità, ma imponendole, su questo versante, le regole della qualità, della “tracciabilità”, del valore italiano. Concretezza e suggestioni, realismo e aspettative: in questo mix l’affascinante impegno del ripensamento-cambiamento può diventare un obiettivo concreto e vincente. Senza torcicolli. Senza nostalgie. In questa direzione le vecchie distinzioni tra cultura colta e cultura popolare risultano allora labili, nella misura in cui le contaminazioni tra ambiti diversi appaiono utili, se non necessarie, per il raggiungimento dell’obiettivo. I congressi di partito (e le elezioni) passano. I valori e le idee rimangono. Su queste si gioca e si giocherà sempre di più la partita decisiva, tra politica e metapolitica.