di Mario Bozzi Sentieri

Non sappiamo se si possa parlare – come taluni hanno fatto – di un “cambiamento d’epoca” rispetto alla diminuzione degli iscritti al Liceo Classico. Un dato è certo: la contrazione delle iscrizioni alla scuola secondaria superiore per l’anno scolastico 2024/25 riportano una quota del 5,34% di iscritti al liceo classico, contro il 5,8% dell’anno precedente. Studiare latino e greco ai tempi di twitter non serve più? Polemiche storiche e politiche a parte interrogarsi sul senso di un liceo spiccatamente umanistico, nel tempo dell’assolutismo informatico, è un argomento cruciale per l’intero Paese. Non solo in ragione del “ruolo”, storicamente svolto dal Liceo Classico, di “selezionatore” della classe dirigente, ruolo che oggi appare sbiadito, a fronte di una mutata domanda formativa, finalizzata a garantire uno sbocco lavorativo più immediato. Quanto piuttosto dellapiù vasta comprensione di un patrimonio culturale, insieme letterario, filosofico, scientifico ed antropologico, che sta alla base dell’Occidente, europeo e non solo: sorta di porta aperta per la conoscenza, un “battesimo profano – per dirla con Hegel – destinato a dare all’anima la prima e inalienabile inclinazione e disponibilità al gusto e alla cultura”, che riguarda certamente la formazione dei ceti dirigenti, ma non può non toccare la più vasta sensibilità collettiva. Nel greco e nel latino ci sono infatti modelli ed impulsi spirituali che hanno segnato tutto il mondo civile. E’ quindi doveroso rivendicarli con orgoglio, anche di fronte a certi tentativi di rendere predominanti modelli linguistici dialettali e provinciali o, d’altra parte, di farsi contaminare acriticamente dai neo-linguaggi della globalizzazione. Ma è anche necessario, proprio nel momento in cui c’è una presa di consapevolezza sul ruolo e la funzione formativa del Liceo Classico, ripensare i sistemi d’insegnamento e migliorarne la diffusione. E’ certamente un problema che tocca il corpo docente, a cui va chiesto di non limitarsi ad una pedissequa ed un po’ stanca applicazione del metodo grammaticale-traduttivo, impegnandosi piuttosto a “vivificare” i metodi d’insegnamento, coinvolgendo gli studenti in un viaggio affascinante alla scoperta della tradizione e della cultura classica , ancora prima che all’apprendimento di regole. Ma è anche una questione ben più vasta, che deve toccare il nostro sentire collettivo, il senso di un’appartenenza in grado di parlare alla contemporaneità. Impresa difficile, ma non impossibile, sulla quale sarebbe interessante aprire una seria riflessione, ipotizzando inusuali “contaminazioni”. Come ha – del resto – ribadito Paola Mastrocola, convinta paladina di una Scuola “sfidante” ed autenticamente democratica (suo il libro Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza , uscito nel 2021, con coautore Luca Ricolfi): “Il latino è importante per imparare la nostra lingua e i meccanismi logici del pensiero. Ci obbliga a vedere la struttura della frase, come se facessimo una radiografia a quello che diciamo. E’ un’impalcatura che tiene su le strutture logiche e che aiuta sempre, qualsiasi percorso si intraprenderà, dall’idraulico al professore di filosofia al panettiere”. Sulla strada del “rilancio” del Liceo Classico un’ipotesi interessante potrebbe essere quella di reintrodurre lo studio della lingua latina a partire dalla scuola secondaria di primo grado. Un’apertura in questo senso era stata fatta, due anni fa, da Patrizio Bianchi, Ministro dell’Istruzione nel Governo Draghi, che aveva dichiarato, in sede parlamentare: “Concordo nel riconoscere il valore formativo delle lingue classiche essenziali per comprendere il presente e per sviluppare i saperi fondamentali che conducono alla riflessione e alla più ampia conoscenza del mondo e della società moderni, allo spirito critico e al ragionamento necessari per l’emancipazione delle alunne e degli alunni, per la cittadinanza europea e per la difesa dei valori comuni”. Nella risposta data ad alcuni senatori, che chiedevano chiarimenti sull’ipotesi del ritorno del latino a partire dalla Scuola Media, il Ministro aveva però anche precisato che purtroppo una reintroduzione in via ordinaria dell’insegnamento del latino per tutte le scuole “richiederebbe un intervento normativo di tipo regolamentare che vada ad incidere sull’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola secondaria di primo grado con una rimodulazione dell’intero piano di studi e dei relativi quadri orari”. In una nuova fase politico-culturale come l’attuale perché non provare a rilanciare la questione? Magari iniziando a recuperare un dibattito sull’utilità del latino (spesso affiancato dal greco) che ha segnato tutta la nostra storia nazionale, da Monaldo Leopardi al fisico Guido Tonelli, passando per Antonio Gramsci e Pier Paolo Pasolini. Gramsci, nei Quaderni dal carcere, evidenziò come il latino ed il greco “si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale”. Pasolini (in I Dialoghi – 1960-1965) andò giù duro, con il suo stile senza compromessi: “Ora io sento un profondo senso d’ira contro l’azione sacrilega, nei confronti del passato, cioè della nostra storia, della classe dirigente tradizionalista e cinica. Difenderei il latino, con ira, contro la sua difesa bugiarda. Dobbiamo conoscere e amare il nostro passato, contro la ferocia speculativa del nuovo capitalismo, che non ama nulla, non rispetta nulla, non conosce nulla”. Proprio sull’onda dell’appello pasoliniano, lanciato negli Anni Sessanta ed ancora attualissimo, è giunto il momento di riaprire la questione del Liceo Classico, in ragione certamente di una memoria da salvaguardare, senza temere però di aggiornarne metodologie ed insegnamenti fino ad arrivare a spregiudicate “contaminazioni”. “Come già soleva sottolineare il compianto grande linguista Tullio De Mauro – ha specificato Andrea Del Ponte, appassionato cultore della materia (cfr. Per le nostre radici. Carta d’identità del latino, 2018) – l’inglese andrebbe nominato ‘lingua neolatina ad honorem’, in quanto circa il 75% del suo lessico è formato da prestiti dal francese (lingua ovviamente neolatina) o da parole derivanti direttamente dal latino. “President” viene dal latino praesidens. “To order” dal latino ordo, ordinis. “Arrest” dal latino ad + restare. “Another” è collegato al latino alter, “uno fra due”. “Senator” è identico al latino senator e viene dal latino senex, “vecchio” e da senatus. “Administration” viene dal latino ad + ministrare. (…) Per quanto riguarda il lessico tecnologico, è saturo di derivazioni greche e latine. “Computer” deriva dritto dritto dal latino computare, “calcolare” e “bit” è abbreviazione di “binary digit”, dove “binary” deriva dal latino bini (“due per volta”) e “digit” da digitus, “dito”. Niente paura: la tecnologia digitale applicata agli studi letterari e filologici ha consentito e sempre più consentirà di fare enormi progressi nel campo delle nostre conoscenze”. Riscoprire, attraverso un “rilancio” del Liceo Classico, il latino ed il greco, per “reinventarne” l’apprendimento, rendendoli capaci di parlare alla sensibilità moderna? Impresa difficile, ma non impossibile – da quel che abbiamo sommariamente tratteggiato – sulla quale sarebbe interessante aprire una seria riflessione. Per sentirci tutti più impegnati nella valorizzazione della nostra identità, magari ripensandola più moderna e dunque capace di parlare alla sensibilità delle nuove generazioni. Ne va dei destini non solo della Scuola italiana e dei futuri ceti dirigenti, ma di un pezzo essenziale della Storia e della cultura d’Italia e d’Europa, ivi compreso il Liceo Classico.