Oltre lo statalismo c’è di più
di Mario Bozzi Sentieri

E’ la destra sociale che spiazza l’opposizione: parola di Luca Ricolfi, che con un sintetico, quanto efficace articolo, pubblicato da “Il Messaggero”, invita a non ripetere gli errori di classificazione nei confronti dell’attuale coalizione di governo “e del partito di Giorgia Meloni in particolare”, errori che hanno portato alla sconfitta elettorale della sinistra e continuano a renderne evidenti le debolezze strategiche. Nella misura in cui – nota Ricolfi, che si richiama alla classica definizione elaborata da Anthony Downs (Teoria economica della democrazia, 1957) – il criterio fondamentale per collocare i partiti lungo l’asse destra-sinistra è la quantità di intervento pubblico desiderato (“il minore possibile quanto più ci si muove verso destra, e il maggiore possibile quanto più ci si muove verso sinistra”) l’attuale azione di governo, a trazione Fratelli d’Italia, pare sfuggire alle definizioni classiche. A “dare la linea” sono piuttosto i richiami alla “destra sociale”, per la quale – scrive Ricolfi – “l’intervento dello Stato nell’economia a sostegno dei più deboli non è certo un tabù”, non attagliandosi a Fratelli l’Italia l’immagine, ingenuamente tratteggiata dall’opposizione, di un partito che aspira a tutelare i ricchi e punire i poveri. L’articolo/provocazione di Ricolfi, pur non essendo una novità, per chi abbia un minimo di dimestichezza con le radici e le idee della “destra sociale” (esemplare, in quest’ottica, il saggio La Destra Sociale di Giano Accame, uscito nel 1996), rappresenta un importante invito non solo a declinare le ragioni storiche di un’appartenenza quanto anche a misurarne l’attualità e l’efficacia. Su questo piano l’interventismo dello Stato a favore dei ceti deboli, con manovre anche “di rottura” (qual è quella sugli extra-profitti delle banche) non è l’unica opzione in grado di caratterizzare l’azione della nuova destra (sociale) di governo. Esistono interventi “di metodo” da non sottovalutare, qual è il recente coinvolgimento del CNEL nelle scelte in tema di “lavoro povero” e di “reddito minimo”. C’è l’attenzione, più volte espressa da Giorgia Meloni, verso i “corpi intermedi”. Nel contempo si profilano impegni “di prospettiva”, “programmatici” si può dire, rispetto ai quali – grazie alle attuali convergenze e contingenze politiche e sociali – non è velleitario parlare di “svolta epocale”. Tra questi l’attenzione verso le tematiche relative alla “partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende”, provocate dal lancio della proposta d’iniziativa popolare della Cisl, finalizzata ad attuare l’art. 46 della Costituzione, che afferma: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. In merito Tommaso Foti, capogruppo alla Camera di Fdi, ha dichiarato: “È giunto il momento di dare attuazione all’articolo 46 della nostra Costituzione, da sempre disatteso. Esso contempla il diritto – non la facoltà o la possibilità – dei lavoratori a collaborare alla gestione delle imprese. Un principio, quello espresso nella Costituzione Italiana, che affonda le sue radici nella dottrina sociale della Chiesa, a partire dalla Rerum Novarum di Papa Leone XIII”. Sulla stessa lunghezza d’onda Carlo Fidanza, parlamentare del Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, il quale ha recentemente ricordato che “Per anni la Destra italiana ha presentato come prima proposta di legge di ogni legislatura quella per la partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa in attuazione dell’art. 46 della Costituzione. La raccolta firme della Cisl, così come lo storico sostegno dell’Ugl e di aree significative del mondo cattolico, nonché un consenso crescente tra gli schieramenti politici e le parti sociali, possono contribuire a far partire questa nuova stagione, all’insegna di una moderna economia sociale di mercato”. Ciò che appare rilevante, e va ben sottolineato lungo i percorsi della “destra sociale” – evidenziati da Ricolfi – è la trasversalità dell’interesse sul tema, uscito finalmente fuori dalle vecchie logiche “di bandiera” per farsi proposta condivisa. L’opzione “partecipativa”, in questo ambito, può giocare un ruolo importante, partendo certamente da una ricca tradizione culturale, sindacale e politica, ma con l’occhio rivolto all’oggi. A quei contesti “di governo” evidenziati da Ricolfi, nei quali c’è spazio per un nuovo interventismo pubblico, ma c’è anche una rinnovata attenzione verso i corpi intermedi, c’è il riconoscimento del ruolo, costituzionalmente fissato, del CNEL e c’è la volontà di dare spazio ai rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di amministrazione delle imprese, realizzando anche l’auspicata partecipazione agli utili. Importante appare – a questo punto – costruire intorno alla proposta partecipativa una strategia inclusiva, capace di aggregare ambienti diversi (politici, sindacali, imprenditoriali, culturali) superando vecchie divisioni ed antistoriche incomprensioni, nella consapevolezza di giocare una battaglia fondamentale in una fase socio-economica “di passaggio”, qual è quella attuale. Un ruolo che bene si addice ad una “destra sociale” fedele ai valori nazionali, ma nello stesso tempo ben consapevole dei mutati contesti socio-economici e della possibilità/necessità di affrontarli ex novo.