di Mario Bozzi Sentieri

“Dio è morto, Marx pure e anche la sinistra sta poco bene” – a dirlo non siamo noi, mutuando la nota battuta di Eugene Ionesco, fatta propria da Woody Allen, ma quella che un tempo era l’intellighenzia di sinistra (organica gramscianamente alla linea del partito) e che ora vaga alla ricerca di un’identità perduta (da sostituire, “riformare”, ricontestualizzare). Di questa pattuglia fa parte Aldo Schiavone, docente dal curriculum “pesante”, ma in gioventù direttore, tra il 1980 ed il 1988, dell’Istituto Gramsci di Roma, che in una recente lettera/articolo su “la Repubblica” (“Una rivoluzione intellettuale”) ha offerto – come in una sorta di bignamino – le sue più articolate riflessioni pubblicate nel saggio, fresco di stampa, Sinistra! Un manifesto (Einaudi, 2023). Prendendosi a cuore la crisi nella quale – testuale – si dibatte la sinistra non solo italiana, Schiavone va giù duro: il contesto culturale e sociale in cui si era finora nutrita la sinistra è distrutto, travolto dalla rivoluzione della tecnica e del capitale, ergo è necessario abbandonare – in quanto inservibile – ogni idea di socialismo, avviandosi su un’altra strada, diversa da quella indicata dai vecchi riferimenti ideologici “di classe”. L’idea di fondo – non proprio una grande novità (qualcuno, a suo tempo, aveva già lanciato lo slogan “proletari di tutto il modo unitevi” con i risultati che ben conosciamo) – è che, vivendo l’epoca dell’unificazione planetaria dei destini della specie, è ad un’idea di eguaglianza “globalizzata” che si deve puntare, giocando sul rapporto fra impersonale umano e beni comuni di tutta la specie: la salute, l’ambiente, il patrimonio genetico, l’informazione, la democrazia, l’intreccio culturale e sociale dei generi. L’analisi/proposta di Schiavone è emblematica della mutazione genetica della vecchia/nuova sinistra, avviluppata nelle sue contraddizioni storiche e nelle sue utopie ideologiche, oggi incardinate in un modello di cittadinanza che vada “oltre la cornice degli Stati”, in una visione della vita e dell’uomo “senza discriminazioni e senza barriere”. Al fondo di tutto l’ambizione di potere ancora costruire (da sinistra) una rivoluzione “intellettuale e morale” capace di governare le trasformazioni e le emergenze in atto – su cui Schiavone peraltro glissa. L’invito alla “rivoluzione intellettuale”, costruita su queste basi, sembra riportare indietro, al XIX Secolo, le analisi sulle sorti e progressive della sinistra, al tempo in cui Friedrich Engels polemizzava contro il “socialismo utopistico”, quel filone “di sinistra” che prospettava l’ordinamento futuro della società senza preoccuparsi di individuare le forze reali capaci di realizzare la trasformazione. Lungi da noi volere evocare i fantasmi del determinismo di classe. Una domanda però in questo contesto è d’obbligo: può la sinistra rinunciare a qualsiasi “base sociale” votandosi all’irrealismo utopistico dei “senza confini” (no borders), genderqueer, culturalmente apolidi? Ed ancora: il crollo dei vecchi “contesti” sociali, sotto i quali – parole di Schiavone – “giace il corpo della sinistra”, può essere giocato utopisticamente sulla costruzione di un “modello inclusivo di cittadinanza”, oltre la cornice degli Stati? L’idea che emerge da queste analisi/proposte è di una uguaglianza “sradicata”, velleitaria ed intellettualistica, che nella sua ideologica fuoriuscita dal “sociale” perde di vista la realtà, non è in grado di parlare degli interessi concreti della gente, ne sottovalutata le domande profonde, i bisogni quotidiani. Per questo la sinistra perde. Perde in consensi e perde di credibilità, proprio laddove era storicamente radicata, in quanto percepita come paladina dei bisogni collettivi, quelli tradizionalmente identificati nel bisogno di istruzione, di ordine pubblico, di difesa, di giustizia. Ad essi va aggiunto, proprio alla luce dei nuovi “contesti”, il bisogno di identità. Anche qui la vecchia/nuova sinistra mostra la corda, nella misura in cui non è attrezzata a riconoscerne il profondo valore culturale , accusando la destra – parole di Schiavone (in Sinistra! Un manifesto) – di fare un discorso “pericoloso ed arcaico”. Sfugge a questa sinistra-in-ricerca il valore e la persistenza post-ideologica delle identità e della rinnovata domanda di appartenenza sociale e culturale che promana dal Paese reale. Come scriveva Simone Weil (La prima radice) “il bisogno di avere radici è forse il più importante e il meno conosciuto dell’anima umana. Difficile definirlo. L’essere umano ha le sue radici nella concreta partecipazione, attiva e naturale all’esistenza di una comunità che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti dell’avvenire”. Può una comunità vivere senza simboli, senza “certi tesori del passato”, che ne legittimo la stessa ragion d’essere spirituale? Provi certa vecchia/nuova sinistra a porsi anche questo quesito. Ed eviti – per una buona volta – di derubricarlo a discorso “pericoloso ed arcaico”, dimostrando così di essere ancora e nuovamente in ritardo sui tempi: come fu nel passato, attraverso una visione classista fine a se stessa (“Il problema di oggi non è che cosa bisogna sostituire al vecchio mondo. Il problema di oggi è ancora quello di come abbatterlo” – teorizzava, negli Anni Sessanta, il marxismo d’impronta operaista), come pare essere ai nostri giorni, nella misura in cui porta a compimento – per dirla con Augusto Del Noce – l’opera di laicizzazione della vita e risolve la rivoluzione nella modernizzazione, intesa come “dissociazione completa di spirito borghese da cristianesimo”, nel senso di visione spirituale della vita. La teoria della “riforma intellettuale e morale” – auspicata dalla vecchia/nuova sinistra alla Schiavone – in fondo a questo mira. A vincere è il nuovo bigottismo di massa, quello della cancel culture , con tanti saluti per chi alla “rivoluzione proletaria” ci aveva creduto ed ad essa aveva legato le proprie speranze.