E se provassimo a “programmare” il mismatch?
di Mario Bozzi Sentieri

L’idea della pianificazione economica, attribuita ai pionieri del pensiero socialista, che la opponevano ai meccanismi autoregolatori tipici della società liberale, può, oggi, apparire “fuori mercato”. I pessimi risultati di una “programmazione” basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione non lasciano adito ad equivoci. Altro discorso se – in ragione di una visione organica del Sistema Paese – si fa riferimento ad un finalismo in grado di affrontare le fasi di transizioni, indirizzando le risorse produttive e le competenze (tecnico-scientifiche) al raggiungimento degli obiettivi dati, seguendo un processo programmatico che si muova lungo i seguenti “binari”: la previsione (attraverso il coinvolgimento delle categorie imprenditoriali e del lavoro), la decisione (quale risultato della messa a confronto delle previsioni e quindi delle scelte), l’organizzazione (in ragione delle strutture articolate nell’ambito del ciclo merceologico, dei prezzi, delle rimunerazioni, degli investimenti, dei processi formativi, della scelta/valorizzazione del personale) e la realizzazione (sostenuta da interventi immediati ed efficaci degli operatori interessati). Questa idea della “pianificazione” ci è tornata alla mente in occasione del recente convegno “Mismatch e transizioni. Il lavoro, la formazione e il raccordo tra domanda e offerta”, organizzato per presentare i primi risultati del tavolo Cnel sul mismatch (la mancata corrispondenza tra i requisiti richiesti dalle aziende e le competenze/qualifiche offerte dai lavoratori),  istituito nel febbraio 2022, con l’obiettivo di coinvolgere i principali attori del campo e proporre soluzioni a sostegno della corrispondenza tra imprese e lavoratori nel mercato di lavoro italiano. Dal report, realizzato a fronte di ben 22 audizioni di istituzioni, imprese, associazioni e con il coinvolgimento di oltre 100 esperti e manager, emerge che il mismatch nel 2022 ha raggiunto il 40%. Attualmente, secondo gli ultimi dati di Unioncamere, ci sono 500mila posti di lavoro vacanti. In media le imprese impiegano 3,9 mesi a reperire il profilo ricercato. Il 16,8% dei profili richiede una ricerca tra 6 -12 mesi e per l’8,1% la ricerca supera i 12 mesi. Tra i settori più critici quello dell’informatica, dove c’è scarsissima disoccupazione, ma grande difficoltà di reperimento, e quello della ristorazione, dove insieme a una difficoltà di reperimento si associa una elevata disoccupazione. Gli operai specializzati sono quelli di più difficile reperimento (55%) insieme ai dirigenti d’impresa (55%), mentre le maggiori difficoltà sono nell’edilizia e nel manifatturiero (dati Unioncamere). Molte le cause di questo quadro particolarmente complesso tra cui aspetti demografici, sociali, culturali, retributivi, ma soprattutto l’inadeguatezza di percorsi formativi poco orientati alle professioni richieste dal mercato e non al passo con l’innovazione tecnologica, la quale rende rapidamente obsolete competenze e modelli anche di comunicazione. La fotografia della realtà è chiara. La “buona volontà” del Cnel encomiabile. Ma proprio per le problematiche “strutturali” che accompagnano questa fase di trasformazione socio-economica, non appare fuori luogo arrivare ad ipotizzare forme generali di “programmazione” capaci di attivare i diversi soggetti interessati. Lo ha peraltro sottolineato il presidente del Cnel, Tiziano Treu, in occasione dell’incontro romano: “Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è un problema strutturale in forte crescita che ha interessato nel 2022 oltre 2 milioni di persone. Un fenomeno accelerato dalla pandemia che ha a che fare con le competenze e il divario tra quelle richieste dalle imprese e quelle possedute da chi cerca lavoro. L’orientamento scolastico è fondamentale. Al Cnel, alla presenza del Ministro Valditara, abbiamo raccolto la disponibilità di governo, regioni, parti sociali, istituzioni formative ad una collaborazione stabile tra tutti gli attori e le istituzioni coinvolte a livello nazionale sulle prospettive dell’accesso al mondo del lavoro”. Può bastare la “disponibilità” dei vari soggetti in campo per costruire l’auspicata collaborazione? La complessità dell’attuale fase di transizione, lo squilibrio nell’industria manifatturiera tra domanda e offerta di lavoro con quasi il 40% di richieste inevase, il gap fra velocità di cambiamento e velocità di aggiornamento dei programmi formativi, le differenze territoriali spingono a dare una risposta negativa. Il Cnel – come sta facendo – può svolgere un ruolo strategico, di analisi e di indirizzo, ma è sulla più ampia visione di Sistema che occorre intervenire per costruire adeguati strumenti, realizzando, a livello istituzionale, un organico coinvolgimento delle diverse categorie sociali in un processo programmatico ed ordinatore , avente al centro il ruolo dello Stato. Niente a che fare – sia chiaro – con l’idea centralistica, rigida ed imperativa, dei vecchi modelli di pianificazione economica. Al contrario è mirando ad una “partecipazione strategica”, costruita sul coinvolgimento dei diversi soggetti in campo, sulla valorizzazione delle rispettive competenze, sul vissuto delle aziende e dei territori che si possono realisticamente affrontare e risolvere le problematiche relative alla corrispondenza tra imprese e lavoratori nel mercato di lavoro italiano. I tempi stringono. La buona volontà dei singoli non basta, né l’attesa della mitica “mano invisibile”. Occorre individuare luoghi e modalità d’intervento. Occorre soprattutto decidere. Il mismatch non aspetta.