di Mario Bozzi Sentieri

La sfida del “merito” continua a dividere. Tra tanti dibattiti fatui ed inconcludenti è un bene. Per un Paese poco avvezzo ad interrogarsi sul suo destino, sulle sue responsabilità verso le future generazioni, sulle grandi questioni di fondo della sua crescita sociale, portare il tema del merito al centro dell’attenzione collettiva è una sfida importante, lanciata dal Governo Meloni, allorché, sostituendo la vecchia denominazione, ha dato vita al Ministero dell’Istruzione del Merito. Come ha scritto Luca Ricolfi: “In una società che lo valorizza, il talento può diventare un’arma cruciale a disposizione dei ceti subalterni per compensare gli svantaggi dell’origine. In una società che non premiasse il merito, e anche più in una che trovasse il modo di non premiare il talento, o addirittura di punirlo (la distopia di Vonnegut), le classi subordinate risulterebbero disarmate, e quelle superiori avrebbero molte più possibilità di far valere le armi di cui hanno il monopolio: reddito, ricchezza, relazioni sociali”. La lotta al classismo passa da questa consapevolezza. E non è un passaggio da poco, visti i ritardi ed i danni, culturali e sociali, che decenni di falso egalitarismo hanno provocato nella società italiana. A dirlo non è qualche nostalgico della teoria elitista, ma le più aggiornate indagini sulla mobilità sociale nei diversi Paesi del mondo, che denunciano come in Italia il divario socio-economico fra classi sociali sia in continua crescita. Secondo l’ultimo Global social mobility report del World Economic Forum l’Italia è il Paese europeo con la mobilità sociale più bassa, con ciò intendendo la possibilità che ogni persona ha di posizionarsi “verso l’alto” o “verso il basso” rispetto ai propri genitori. In termini assoluti, è la capacità di un bambino di vivere una vita migliore rispetto ai suoi genitori. L’Italia si colloca al 34° posto mentre i Paesi nordici sono i primi in classifica a livello mondiale. Le performance dell’Italia più alte sono sul pilastro Salute (90,1) perché tutti hanno accesso al sistema sanitario nazionale e accesso all’istruzione (68.0), qualità ed equità (79.1). Ma il nostro Paese soffre di un elevato numero di Neet, giovani che non studiano e non lavorano (19,2%) e, nonostante un basso rapporto allievo-insegnante, c’è mancanza di diversità sociale nelle scuole. Con un punteggio di 40,2, un altro punto debole è il pilastro dell’apprendimento permanente con scarse opportunità per i lavoratori più avanti nella vita lavorativa: solo il 12,6% delle aziende offre una formazione strutturata e vi è un accesso limitato alla riqualificazione per i disoccupati. La scuola italiana è formalmente accessibile a tutti e questo rappresenta una grande opportunità, ma senza una conseguente attenzione verso il “merito” difficilmente il cosiddetto ascensore sociale si metterà in moto, laddove ad emergere è l’idea, tutt’altro che infondata, che le chance di una persona nella vita siano sempre più determinate dal punto di partenza, cioè dallo stato socio-economico e dal luogo di nascita. Di conseguenza le disuguaglianze di reddito si sono radicate e le classi sociali sono “ingessate”, offrendo la fotografia di un Paese che tende all’immobilismo sociale e quindi raffredda le aspettative e le ambizioni della società, frustrando l’accessibilità alle varie posizioni sociali, attraverso una serie di vincoli strutturali, riconducibili all’autoreferenzialità dei diversi gruppi professionali, alla cooptazione delle classi dirigenti, ad un sostanziale rigidità dei cosiddetti “processi ascensionali”, i quali possono attivarsi solo in ragione di un recupero del merito quale strumento “sano” di incentivazione sociale, di crescita personale e non solo. Dopo gli anni dell’egalitarismo a buon mercato (tutti uguali per mantenere, nella sostanza, le vecchie rendite di posizione, trasmesse di padre in figlio) è tempo di riportare al centro del dibattito nazionale il tema della mobilità sociale, l’unico strumento per ridare all’Italia quella dinamicità ormai persa da decenni e per riaccendere, soprattutto tra le giovani generazioni, aspettative oggi sopite, mettendo finalmente da parte gli schematismi intellettuali della vecchia sinistra. A scriverlo è anche un intellettuale certamente non “di destra”, come Massimo Recalcati, che proprio sui ritardi di certa sinistra ha scritto: “La sinistra più ideologica percepisce solo il lato neoliberale del merito come avallo di una concezione dell’esistenza come corsa per la propria affermazione individuale, concorrenza, selezione, antagonismo, egoismo, assenza di inclusione. Ma questa versione è solo una degenerazione del valore del merito che toglie merito al merito”. La vera “inclusione” sociale – aggiungiamo noi – può nascere da una nuova assunzione di responsabilità, in ragione di una sana politica del merito, da parte del corpo sociale, nella sua interezza. Non è insomma un problema che riguarda esclusivamente il sistema scolastico. In gioco ci sono i più vasti interessi nazionali. Rimettere in moto “l’ascensore sociale” è una necessità. Per tutti.