Con lo sguardo al futuro
di Mario Bozzi Sentieri

Quella della destra antieuropeista è una delle fake più diffuse. In realtà Europa e destra politica nel nostro Paese sono sempre andate a braccetto (a differenza del Pci, del quale il Partito Democratico è l’erede, che nel 1957 fu l’unico partito italiano a votare contro la ratifica dei trattati che istituivano la CEE e l’Euratom). A partire dagli Anni Sessanta del ‘900 “Europa Nazione Rivoluzione” è stato uno degli slogan più diffusi tra la gioventù di orientamento nazional rivoluzionario. L’unità territoriale e spirituale del Vecchio Continente era un’aspettativa di civiltà, rispetto ai due blocchi politico-ideologici allora dominanti e al Muro, inventato dai comunisti dell’Est ed avvallato da quelli dell’Ovest, che, ignobile, la segnava, ferita di cemento che dalla Porta di Brandeburgo isolava, per centinaia di chilometri, uomini e coscienze. Il riferimento- per certa destra – era all’Europa orgogliosa delle sue radici. Europa olimpica e dorica, protesa, da Capo Sounion, per farsi abbracciare dal Mediterraneo, Madre antica che non teme le notti glaciali certa, nell’attesa, che la luce tornerà ad irradiarla. Europa di templi e di dei, romana ed imperiale, audace e guerriera. Cervello socratico e cuore cristiano – come scrisse un grande spagnolo (Salvador de Madariaga). Capace di specchiarsi nei vetri delle sue cattedrali, segno d’una epoca splendente d’oro, d’argento, d’azzurro, di rossi e di verdi, fiammeggiante sui portali delle chiese, nei saloni dei castelli, nelle case dei borghesi e dei fattori. Europa d’incunaboli e di immaginazioni futuriste, nel lungo rosario di genialità artistiche, scientifiche, drammaturgiche. Europa del lavoro e del diritto, capace di farsi esempio di civiltà, pur nella complessità delle singole storie nazionali. Eravamo/siamo diversi? Certamente, ma – per dirla con Jose Ortega – “perché una Nazione esista è sufficiente che essa abbia coscienza del suo esistere”. Un’Europa, cosciente del proprio ruolo, avrebbe potuto essere diversa, se avesse pensato meno o non solo a farsi strumento burocratico, orizzonte codificato entro cui fare morire d’inedia i suoi cittadini. Avrebbe potuto e dovuto avere un ruolo geopolitico e mediterraneo. Avrebbe potuto e dovuto essere un’aspettativa reale. Purtroppo non è stato così. Ma quell’Europa rimane e non solo nei suoi monumenti e nella sua Storia. E’ una scommessa per il futuro ed in quanto tale va ripensata nelle sue declinazioni più immediate. A partire anche da quelle che vengono indicate, nel programma del centrodestra, come “mutate condizioni, necessità e priorità”. Il terreno è quello strettamente economico, delle risorse e degli investimenti. Si tratta di un orizzonte più immediato rispetto ai richiami metapolitici del passato, ma proprio per questo delineano modalità d’intervento che possono essere ben declinate con ambizioni e progetti di più ampia prospettiva continentale. Tra la stretta ortodossia europeista, così lontana dalle sensibilità dei popoli europei, e l’euroscetticismo, che certamente non appartiene alla destra politica, una “terza via” c’è. Ed è quella che si muove, a partire dai territori, per “rappresentare” e tutelare, il mondo del lavoro e della produzione, i processi di modernizzazione (dalla formazione agli investimenti, dalle infrastrutture alla difesa delle imprese “strategiche”). Tutto questo partendo anche dal “marchio Italia”, dalla specificità delle nostre produzioni, che – non a caso – si intrecciano con le storie, la qualità, la memoria del nostro essere italiani nel tempo europeo. In tutto ciò è francamente difficile – a patto di non essere mossi da interessi preconcetti – vedere rischi per i processi d’integrazione europea, che di un nuovo slancio, di nuove visioni hanno piuttosto bisogno, pena una preoccupante perdita di credibilità e di funzioni. Vale per il Pnrr, ma anche in altri ambiti. Un’Europa diversa è possibile. Basta crederci ed impegnarsi di conseguenza. Senza dare nulla per scontato.