di Mario Bozzi Sentieri

Il 15 maggio si è celebrata la “Giornata internazionale della famiglia”, indetta dall’ONU. In pochi sembrano essersene accorti. A cominciare dalle famiglie, soffocate dalle emergenze quotidiane, dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro, dalla precarietà. Una precarietà che va “letta” non solo sulla base dei parametri economici, quanto piuttosto quale sintomo di un disagio più profondo, insieme etico ed esistenziale. Quello che ci consegnano le cronache quotidiane sono infatti le “fotografie” di frustrazioni, di tensioni e violenze familiari sempre più determinate dalla rottura dell’ordine familiare, dal disagio nel rapporto tra i coniugi, dai divorzi. L’esercito dei nuovi poveri viene soprattutto da lì, dal continuo aumento di divorzi e separazioni, diffusi soprattutto nelle fasce sociali medio-basse, tra operai, impiegati, militari e insegnanti con uno stipendio medio di 1.500 euro. Se si considera che molti padri sono costretti ad abbandonare la casa coniugale, anche se di proprietà esclusiva e magari con un mutuo in corso, e a versare un assegno di mantenimento nei confronti della madre (se non ha reddito sufficiente) e comunque nei confronti dei figli, il calcolo è facile. Inoltre in molti casi, nonostante la situazione economica in cui ci si trova, risulta difficile chiedere un sostegno economico agli enti comunali/regionali perché il valore ISEE è alto non avendo più i figli nello stato di famiglia. La bigenitorialità, la responsabilità congiunta nell’educazione dei figli, è irrealizzabile quando il papà non ha una casa e vive in macchina creando poi un circolo vizioso, con il rischio che il Tribunale per i minorenni possa togliergli i figli. In tanti rinunciano ad essere genitori perché si vergognano delle loro condizioni, e per questo preferiscono allontanarsi dai figli piuttosto che farsi vedere come dei barboni. La libertà del relativismo tanto più è assoluta, cioè senza limiti, tanto più appare foriera di nuovi traumi all’interno del corpo sociale, a cominciare dalla famiglia. Con questi mali occorre fare i conti. Conti morali ed insieme sociali ed economici, proprio per la capacità che essi hanno di segnare il corpo della società. Viviamo in un tempo ben strano, pieno di controsensi, di contraddizioni tanto grandi quanto tenute ben nascoste al senso comune o spesso capaci di carpirne la buona fede. Ci si preoccupa giustamente della sicurezza del cittadino e della sua salute. Gli si impongono misure atte a salvaguardarne la sicurezza motoria: caschi e cinture, controlli periodici e vincoli. La libera vendita delle sostanze stupefacenti è proibita. Non siamo ancora usciti del tutto dagli obblighi imposti per l’emergenza Covid. Sui pacchetti delle sigarette compaiono scritte allarmanti sul rischio di morte. Uguale zelo non sembra essere destinato ai rischi determinati dalla messa in crisi della famiglia, dall’aborto, dall’assunzione di sostanze stupefacenti e dalla discussione dell’ordine naturale. La bandiera della cultura dominante è il liberi tutti. Ognuno, poi, si arrangi come può. “Relativizzare” l’etica, con ciò che comporta per le sue ricadute sulla vita del singolo individuo, delle famiglie, della società, appare un diritto da allargare, un impegno quotidiano per il quale non debbono essere posti nuovi limiti e debbono essere rimossi i vecchi. Non ci sono dunque cinture di sicurezza o caschi, né particolari avvisi per chi voglia fare del relativismo etico una sorta di laboratorio permanente delle proprie spericolatezze. Dei rischi a cui viene esposto dall’espandersi del relativismo, il cittadino non è allertato. Non ci sono cartelli indicatori che lo avvisino. Non ci sono campagne informative che lo mettano in allarme. Al contrario, egli è quotidianamente sottoposto ad una costante opera di indottrinamento inconsapevole, in grado di rendere dolce il processo di depotenziamento collettivo, di resa, di assuefazione. E tutto questo senza che le conseguenze concrete di tale deriva siano ben chiare a chi le farà. Senza che i costi sociali e personali siano chiaramente indicati. Accade così che, riempito il ricco carrello del relativismo, l’ignaro cittadino arrivi alla cassa senza sapere il prezzo da pagare, convinto anzi che tutto gli è dovuto gratuitamente. Il risultato è che le conseguenze di tali scelte ricadono sul malcapitato, al punto da stravolgere la sua vita e quella di chi gli sta intorno. Proviamo a moltiplicare queste conseguenze per milioni di volte ed avremo il quadro della società moderna, scricchiolante e sempre più instabile, di famiglie segnate da una crisi che diventa economica in quanto è crisi etica e non viceversa, di singoli gettati ai margini della società, senza più riferimenti esistenziali ancor prima che materiali. Di questo, anche di questo vorremmo sentire parlare, quando si “celebra” la famiglia e si denunciano le sue odierne difficoltà, oggettivamente ben più rilevanti di qualche tasso bancario in salita o in discesa.