Un anniversario “corsaro”
di Mario Bozzi Sentieri

Pier Paolo Pasolini, del quale il 5 marzo ricorre il centenario della nascita, ha tanti volti. E’ il poeta civile legato al dialetto friulano, “lingua pura per poesia”; l’irriverente e “trasgressivo” regista cinematografico; l’attento studioso di un’Italia stravolta dalla “modernizzazione”; il nostalgico di un mondo arcaico, fatto di lucciole, di lanterne ad olio e di processioni del Santo Patrono; il populista ed il reazionario, il cattolico ed il comunista; l’anti-antifascista (pronto a denunciare – nel pieno degli Anni di piombo – un antifascismo di comodo, impegnato a “dar battaglia a un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno”) e l’estremo visionario di un fascismo saloino volgare e meschino, in cui sadismo e violenza si fondono nelle scene irreali del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. La destra inizialmente lo detestò per le sue idee e soprattutto per la sua dichiarata omosessualità (che peraltro gli costò l’espulsione dal Partito Comunista, con l’accusa di avere condiviso “… le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della generazione borghese” – come scrisse, nell’ottobre 1949, “L’Unità”). Negli Anni Sessanta del ‘900 i suoi film erano oggetto di dure contestazioni da parte delle organizzazioni giovanili missine, con l’inevitabile strascico di incidenti, di fermi e contusi. Giornali “d’area” come “Lo Specchio”, “Il Borghese”, “Il Secolo d’Italia”, “Il Meridiano” e “L’Italiano” ne fecero un bersaglio privilegiato. E tuttavia a destra c’era anche chi non disdegnò il dibattito, come Piero Cerullo, storico dirigente della destra giovanile, protagonista, con lo scrittore, nella Modena del 1958 di un animato, ma civile confronto ascoltato da una platea costituita per la massima parte da giovani di sinistra in un rigoroso silenzio. Dopo averlo contestato, la destra prima gli concesse l’onore delle armi in occasione della sua morte, (evidenziandone da subito – come scrisse, sul “Secolo d’Italia” Franz Maria D’Asaro – l’ “Appropriazione indebita” da parte del Pci) poi iniziò ad interrogarsi sull’essenza del suo pensiero sul suo essere “oltre” le vecchie appartenenze ideologiche. Con il suo andare contro i tabù del pensiero dominante, quello del partito borghese e radicale di massa (tuttora egemone a sinistra). Con il suo essere contro l’aborto, contro l’omologazione consumistica, contro un’industrializzazione selvaggia. E prima ancora contro la falsa contestazione dei giovani borghesi del ’68, coccolati dalla cultura di sinistra. Pasolini anche qui andò oltre, simpatizzando con i poliziotti (“perché – scrive – sono figli di poveri./ Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”) contro i “figli di papà” ricchi e borghesi. Negli Anni Settanta i suoi “Scritti corsari” e le “Lettere luterane” trovarono spazio e lettori “a destra”. Il 3 dicembre 1988, nella sezione del Msi-Dn di Acca Larenzia di Roma, si tenne l’incontro “Ripensare Pasolini… scandalosamente”, organizzato da Lodovico Pace, Teodoro Buontempo e Adalberto Baldoni. L’iniziativa innescò un ampio dibattito sulla stampa italiana: questa volta a destare scandalo erano stati i missini, impegnati a discutere, senza tabù, l’intellettuale… “corsaro”. Dall’altra parte il banale e piccato conformismo dell’intellighenzia di sinistra, pronta a parlare di sfrontatezza e di povertà culturale, ma ormai incapace di comprendere il valore autenticamente “trasgressivo” del percorso pasoliniano, poco più di un santino per la “sensibilità” culturale dei suoi estimatori. Fuori dal coro – come già allora sapeva fare – Massimo Fini, che, su “Il Giorno”, andava dritto al cuore del problema: l’incapacità della sinistra di portare avanti i grandi temi della polemica pasoliniana, riducendosi a qualche celebrazione di facciata. Una scelta non casuale – puntualizzava Fini – espressione “della volontà di eludere le scomode domande che Pasolini poneva non solo alla società nel suo complesso, ma proprio alla sinistra, al suo materialismo, al suo sposare acriticamente il mito dello sviluppo e del progresso, a quel suo identificarsi, di fatto, col capitalismo e con le leggi di mercato… La destra non fa altro che riempire un vuoto colpevolmente lasciato dalla sinistra”. Beppe Niccolai, figura storica del radicalismo missino, arrivò a dichiarare la comunanza con Pasolini per la “critica radicale alla società dei consumi” e la volontà di “oltrepassare” le definizioni di destra e sinistra. Nel 2010 furono Adalberto Baldoni e Gianni Borgna a sanare ogni cesura, attraverso il libro “Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra” , edito da Vallecchi. Baldoni , negli Anni Cinquanta e Sessanta, era stato militante della Giovane Italia e del Msi, dirigendo varie testate dell’area di destra, per poi approdare al “Secolo d’Italia” e alla saggistica storica. Sul versante opposto, Borgna era stato segretario della Federazione Giovanile Comunista di Roma e, in seguito, consigliere del Pci alla Regione Lazio e assessore alla Cultura del Comune di Roma. Due mondi culturali che si incontravano, proprio in ragione della trasversalità di un intellettuale fuori dagli schemi, a cui poco si addicono, ieri come oggi, le sterili celebrazioni d’occasione, i paginoni inconcludenti della retorica conformista. Laddove mai come oggi, a cent’anni dalla sua nascita, è al Pasolini “trasversale”, anticipatore della crisi delle vecchie ideologie, che bisogna sapere guardare. Per ritrovare il valore di una memoria nazional-popolare e l’inquietudine “corsara” di chi cerca nuove rotte.