di Mario Bozzi Sentieri

A bocce apparentemente ferme e a Presidente (ri)eletto, dove cercare il bandolo di una politica nazionale che, a destra e a sinistra, pare oggettivamente in grande confusione? Il centrodestra va rifondato, afferma – a ragione – Giorgia Meloni.  Da dove partire? E per andare dove? Il quadro generale è disastrato, immagine di una sistema allo sbando, privo di chiari orientamenti e di strategie coerenti. Programmi? Idealità? Valori fondanti? Qualcuno ci crede ancora? Vista la situazione, più che di questioni di merito forse vale la pena puntare al metodo. Per questo conviene guardare proprio verso il Quirinale. Non certo – sia chiaro – al suo inquilino riconfermato, quanto piuttosto alle modalità di (ri)elezione: modalità obsolete, segnate dalla crisi del sistema partitico-parlamentare, dallo sfibrarsi delle vecchie appartenenze. Con il risultato di trasformare il confronto per l’elezione – si badi bene – della massima carica dello Stato in un balletto avvilente, fatto di veti incrociati, di doppiogiochismo, di gattopardismo. Ripartire dal Quirinale, facendone un obiettivo politico, può volere dire individuare nuove modalità di scelta dei vertici istituzionali. L’impresa non è facile. L’opinione pubblica – anche alla luce di quanto è successo nell’ultima settimana – sembra sensibile al tema, un po’ meno i grandi organi d’informazione ed i cosiddetti opinion maker, sempre più “impegnati” a celebrare l’esistente, senza un guizzo di fantasia, senza un minimo senso critico. Nel dicembre scorso FdI ha lanciato l’ennesima campagna per il presidenzialismo, con tanto di raccolta firme, a margine di una proposta di legge costituzionale per l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della Repubblica. La proposta di FdI prevede affinità con il sistema francese dove il presidente è eletto per cinque anni (per non più di due mandati) con sistema maggioritario, a maggioranza assoluta dei voti espressi al primo scrutinio, se la ottiene, o al secondo turno, al ballottaggio, cui accedono i primi due candidati. Quanto ai poteri si prevede che il governo sia composto dal Primo ministro e dai ministri, che collegialmente costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Tale organo verrà presieduto dal presidente della Repubblica, il quale disporrà del potere di nomina del Primo ministro e, su proposta quest’ultimo, di nomina e revoca dei ministri. Il tutto accompagnato, così come previsto in altri Paesi europei, dalla possibilità di procedere anche alla sfiducia costruttiva. La proposta è encomiabile, ma… qualcuno, al di là della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, se n’è accorto? A livello politico, a parte le dichiarazioni d’occasione, non si è andati oltre. Di strategie massmediatiche non se ne sono viste. Di alleanze trasversali neppure l’ombra. Intanto qualcosa, nel frattempo, si è mosso. Sia Matteo Renzi che Carlo Calenda hanno manifestato interesse al tema: “Penso che questa debba essere l’ultima volta in cui infliggiamo agli italiani lo spettacolo di un Parlamento in seduta comune che vota un nome senza discutere, si vada al presidenzialismo o al semi-presidenzialismo” – ha dichiarato, negli ultimi giorni, Renzi; “sono presidenzialista” ha affermato senza mezzi termini il secondo. Giuliano Amato, neopresidente della Corte Costituzionale è stato ugualmente esplicito, evidenziando i “diversi benefici” dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Qualche dichiarazione ad effetto non è però sufficiente. Può servire a lanciare un segnale, ma nulla di più. Ben altro ci vorrebbe per dare smalto al confronto e per trasformare argomenti apparentemente “tecnici” in temi di ampia condivisione. Pinuccio Tatarella, agli inizi degli Anni Novanta, poneva l’accento sulla necessità di superare “le rivendicazioni cronologiche di primato delle tesi”, per procedere alla costruzione “di un’alleanza sul tema”, in grado di rappresentare trasversalmente le forze presidenzialiste (all’epoca dai missini ai socialisti) e quanti, all’interno dei diversi partiti, si riconoscevano nella modernizzazione istituzionale. C’è spazio oggi per un alleanza sul tema ? E per andare oltre: è praticabile l’idea di arrivare all’elezione/convocazione di un’Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale, in grado di attivare un chiaro confronto programmatico, con un mandato temporale ben definito, finalizzato ad elaborare un progetto di riforma organico e condiviso? Alle diverse forze in campo di fare le loro proposte e di verificarle con l’opinione pubblica. Ciò renderebbe finalmente palesi i rispettivi orientamenti, obbligando gli schieramenti a scoprire le carte sui grandi temi “sensibili” del presidenzialismo, del sistema elettorale, del bicameralismo, del rapporto tra i poteri dello Stato, del numero dei parlamentari, del vincolo di mandato, del federalismo, con il conseguente coinvolgimento dei cittadini-elettori, resi finalmente partecipi di un essenziale passaggio politico-istituzionale per la vita del Paese. Al di là delle polemiche contingenti qui si gioca la partita del nostro futuro nazionale. Per questo, anche per questo, c’è bisogno di un’alleanza sul tema, all’altezza delle sfide del Terzo Millennio. Per ritrovare, dopo il chiacchiericcio di questi giorni, una politica consapevole delle proprie responsabilità e contemporaneamente delle proprie crisi, ma finalmente impegnata a superarle. Nel nome non tanto di un Presidente o di una maggioranza parlamentare, ma dei superiori interessi nazionali.