di Antonella Marano

“Ogni giorno per noi ‘orfani’ d’amore è la Giornata contro la Violenza sulle donne. Tutti i giorni combattiamo per ritrovare giustizia, quella vera ed immediata, nei confronti di chi ha tolto la possibilità di essere liberi. Liberi di non subìre violenze o abusi dal proprio uomo ‘malato di possesso’. Mia figlia è stata strappata alla vita con ben 48 coltellate. Su di me porterò per sempre le cicatrici di quella spietata e crudele esecuzione. Il tempo si è fermato a quel 6 ottobre 2015 quando, il mostro, ha agito con assoluta e spietata cattiveria e, soprattutto, premeditazione. Ha atteso Giordana sotto casa, al rientro da lavoro, per eliminarla: perché o stai con me o con nessun altro”.

panchina-rossaE’ Vera Squatrito, mamma della giovane Giordana uccisa dal suo ex compagno, (clicca qui per leggere la storia di Giordana raccontata a La Metasociale https://www.lametasociale.it/?p=5038) a lanciare un messaggio chiaro proprio alla vigilia della Giornata contro la violenza sulle donne. Non basta la ratifica alla Convenzione di Istanbul (utile strumento di contrasto della violenza di genere firmato dall’Italia l’11 maggio del 2011) o l’impegno concreto dei centri anti violenza o del Governo. Per realizzare un percorso di giustizia concreto serve di più: a partire da un salto culturale di qualità, basato sull’informazione e un’accurata campagna di sensibilizzazione sul tema, a partire proprio dalle scuole e dai bambini, futuri uomini e donne che hanno il diritto di sapere e, soprattutto, di allontanarsi da ogni fonte di violenza. Ogni giorno, le tv e i giornali, ci raccontano di femminicidi o abusi perpetrati a danno di donne e soprattutto dei loro figli, le prime vittime di questo reato. Non possiamo restare a guardare e sentirci ‘solidali’ alle donne uccise dai propri uomini solo nelle giornate dedicate alla riflessione.

Il problema è, oltre che la sensibilizzazione, serve anche giustizia concreta. “Il processo per la morte di mia figlia – ci spiega Vera – non è ancora iniziato. Il 1° dicembre si discuterà la richiesta avanzata dall’avvocato Dario Riccioli, legale di Luca Priolo, di sospendere il procedimento davanti al Gip di Catania e di rimessione degli atti, con il trasferimento del processo a Messina. Il suo avvocato ha avanzato l’istanza sostenendo che a Catania c’è una forte pressione mediatica sul caso, alimentata anche sui social network, che rischia di condizionare gli esiti della decisione del giudice e di pregiudicare la libera determinazione delle persone che partecipano al processo”.

Per Vera  “Nessun luogo potrà annullare la verità, l’unica verità. Giordana è stata uccisa un anno fa, ad oggi non ho ancora assaporato la giustizia ma so che arriverà. L’aguzzino deve essere punito perché ha agito con crudeltà, ha ucciso quel giorno non solo Giordana, ma anche l’infanzia di mia nipote. Ha distrutto anche me. Quando si strappa alla vita una persona il vuoto che si crea tra gli affetti è incommensurabile: siamo tutti cadaveri, tutti fantasmi in una vita che non ci appartiene più. Chiedo giustizia e assolutamente non voglio che si parli di rito abbreviato o sconti di pena per buona condotta. Chi uccide deve capire attraverso l’ergastolo quanto male ha commesso e quanto dolore lascerà nei cuori di tante, troppe persone. Il rito abbreviato è solo un regalo per gli assassini. Ora, aspetto fiduciosa la sentenza della Cassazione ma confido nelle Istituzioni perché voglio credere che ci possa essere un cambiamento e, spero in una pena essenziale”.

Vera, dove trova tanta forza.

“E’ mia figlia che mi dà forza. Vado avanti e non smetterò di lottare finché la sua anima non troverà pace. Lo faccio per sua figlia, mia nipote, che ha perso in questa storia un pezzo importante della sua vita che niente e nessuno potrà mai sostituire. Devo proteggerla perché ho paura di quel mostro…ho paura che un giorno, uscendo dal carcere, possa fare del male anche alla piccola”.

Su www. Change.org è possibile sottoscrivere una petizione lanciata proprio dalla famiglia di Giordana affinché l’appello di Vera non resti inascoltato. Una petizione che sarà voce di giustizia per tutte quelle donne che, per riappropriarsi della libertà, hanno perso la loro vita (ecco il link attraverso il quale è possibile sottoscrivere la petizione: https://www.change.org/p/femminicidi-vogliamo-la-giusta-pena-per-giordana-uccisa-a-20-anni-dal-suo-ex-lauraboldrini-pietrograsso-matteorenzi-avvgbongiorno).

Sono lunghi e lenti i giorni che separano mamma Vera dalla sua ‘piccola’. Il motore delle sue azioni è tutto racchiuso dalla rabbia. Una rabbia che spinge Vera a generare del bene. “Porterò ovunque il sorriso di mia figlia, racconterò nelle scuole, in qualsiasi luogo la sua storia affinché sia da esempio e innesti nel cuore di tutti quella sensibilità necessaria per reagire al fenomeno della violenza”.

Panchina rossa è, infatti, l’iniziativa simbolica, silenziosa ma efficace che Vera ha realizzato in collaborazione con un suo amico fotografo Joe Faro. La prima è stata realizzata il 26 settembre a Trecastagni e, a seguire, sta coinvolgendo tutti i comuni etnei.

Quella panchina oltre ad essere una denuncia del femminicidio, intende stimolare un confronto e una riflessione sulla violenza e sui cambiamenti culturali necessari per sconfiggerla. Un’installazione permanente per invitare i cittadini a fermarsi, a non dimenticare e a mantenere alta l’allerta, parlandone e sensibilizzando a loro volta, affinché il sacrificio di molte donne non sia vano e che mai più si debba morire per mano di chi dice di amare. Perché quello è tutto fuorché amore.

Alcuni giorni fa è stata inaugurata un’altra panchina a Catania. Un simbolo tra simboli – ci spiega mamma Vera –  posto tra il Palazzo di Giustizia e il Comando provinciale dei Carabinieri (due riferimenti importanti per chi denuncia e per chi chiede giustizia).  A Catania, perché quella città racchiude la triste storia di Laura (uccisa dal padre) e Giordana: due esempi di come a volte il carnefice è più vicino di quanto si possa immagine. Una panchina a loro dedicata non basterà certo a sanare il dolore di chi resta, i familiari, ma apre la mente di chi la osserva verso un mondo fatto di riflessione ma anche di speranza.

Vera chiude la sua intervista dicendo: “A tutte le donne che sono prigioniere delle violenza dico di denunciare e liberarsi da quelle catene di odio e non d’amore. Nessun uomo deve spegnere il vostro sorriso e quella luce di speranza che abbellisce i vostri occhi. Libertà e rispetto è anzitutto questo amore”.