di Mario Bozzi Sentieri

Tra tanti anniversari e giornate del ricordo è paradossale che l’Inno nazionale, “Il Canto degli italiani”, non sia celebrato con una sua data-simbolo. Eppure non ci sarebbe nulla da inventare: la data esiste già, il 10 dicembre, l’avvenimento sicuramente “testato”, il valore dell’appuntamento indiscutibile. A Genova “Fratelli d’Italia”, scritto dal suo concittadino Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro, fu eseguito per la prima volta e cantato da 35mila patrioti il 10 dicembre 1847, durante una commemorazione della rivolta del quartiere genovese di Portoria, quella del mitico Balilla, contro gli occupanti asburgici, presso il Santuario di Nostra Signora di Loreto. Genova, in realtà, non si è dimenticata di avere “battezzato” il nostro Inno nazionale e di anno in anno, continua a ricordare l’anniversario di “Fratelli d’Italia”, con una serie di manifestazioni. Ma oltre le mura del capoluogo ligure purtroppo non si va. Adottato “provvisoriamente” come inno nazionale nel 1946, ma mai formalizzato con una norma che ne riconoscesse l’ufficialità, il “Canto degli italiani”, è stato finalmente riconosciuto quale Inno d’Italia con la legge 4 dicembre 2017, n.181, senza però ricevere una doverosa celebrazione. Eppure la sua Storia, che coincide con quella del suo giovane autore, Mameli, ha il fascino dell’epopea. Chi era infatti Mameli? “Un giovane del suo tempo, ma sicuramente molto legato alle esperienze familiari e politiche che aveva sempre vissuto; mi fa venire in mente certi trovatori medievali che trovavano il modo sia di combattere che di comporre poemi” – dice Gabriella Airaldi, docente dell’Ateneo genovese ed autrice di un fondamentale “L’Italia chiamò”. Goffredo Mameli poeta e guerriero (Salerno, Roma 2019). Da Genova, dove il testo originale, è conservato al Museo del Risorgimento, “Il Canto degli italiani” si diffuse lungo tutta la Penisola, diventando l’inno patriottico e repubblicano del mazzinianesimo. A leggerlo con attenzione esso incarna l’orgoglio dell’appartenenza nazionale e l’unità del popolo italiano, unito per difendere la propria identità patriottica: orgoglio di una Storia e sintesi del sacrificio di una giovane pattuglia di patrioti, dei quali fece parte lo stesso Mameli. Alla fine del 1848, ancora ventenne, egli si trasferisce a Roma, in rivolta contro Pio IX, dove aderisce al comitato romano dell’associazione sorta per promuovere la convocazione di una costituente nazionale, di orientamento mazziniano. Nel gennaio 1849, all’interno della Giunta Provvisoria di Governo, si occupa dell’organizzazione militare. Il giorno 9 avviene la proclamazione della Repubblica Romana. Mameli invia il telegramma “Venite, Roma, Repubblica”, in cui invita Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana. È insomma un protagonista, seppure giovanissimo, dell’epoca ed è un uomo di prima linea. Combatte a Palestrina e a Velletri. Il 4 giugno 1849 viene ferito alla gamba sinistra durante l’assalto a Villa Corsini, occupata dai francesi. Dopo due settimane la gamba va in cancrena. È decisa l’amputazione, ma ormai l’infezione è diffusa. Mameli muore il 6 luglio 1849, nell’ospizio di Trinità dei Pellegrini. Ha appena 21 anni. Celebrare con una data, qual è il 10 dicembre, il giorno della prima esecuzione pubblica dell’Inno, vorrebbe dire rifocalizzare l’attenzione verso uno dei simboli dell’unità nazionale (l’altro ovviamente è il Tricolore) invitando le scuole a ricordarne la storia e gli studenti italiani a conoscerne le parole e a comprenderne il significato. Soprattutto – e per tutti – a prendere consapevolezza del suo valore, delle vicende che sintetizza, dei valori identitari che esprime. Con quel tanto di retorico che ogni inno certamente esprime, ma anche ben saldi a difenderne la memoria. Senza dare nulla per scontato, spiegandone la genesi e l’epopea, a cominciare da quella del suo giovane autore, Mameli. E magari sull’onda della fiction televisiva, proprio intitolata Mameli, che dovrebbe uscire nel corso del 2024 su Rai1. Fino al dicembre del prossimo anno c’è tutto il tempo necessario per dare alla data del 10 dicembre il giusto riconoscimento che gli tocca. Da qui, anche da qui, passa la battaglia per un nuovo “immaginario” nazionale.