Non posso non iniziare questa relazione con una presa di posizione chiara su quanto abbiamo appreso negli ultimi due giorni.
In merito a ciò che è apparso sul Corriere della Sera, non possiamo nascondere il dispiacere e la preoccupazione.
Abbiamo fiducia nel lavoro dei magistrati e il nostro augurio e la nostra speranza è che chi è coinvolto in questa vicenda possa dimostrare, in maniera inequivocabile, la propria estraneità ai fatti contestati.

Francesco Paolo Capone, segretario generale dell'Ugl

Francesco Paolo Capone, segretario generale dell’Ugl

Naturalmente, c’è chi spinge per una solidarietà incondizionata o un altrettanto incondizionato atteggiamento di condanna. Ma commetteremmo un grave errore se cadessimo nella tentazione di percorrere l’una o l’altra strada.
Non ci sono scorciatoie per bypassare le eventuali responsabilità, così come non ci sono scelte di campo, diverse dalla ricerca della verità.
Ma dal canto nostro, dobbiamo sottrarci al rischio di avviare processi sommari – utilizzando la vicenda anche per regolare impropriamente i conti interni – e allo stesso tempo rifuggire da assoluzioni altrettanto sommarie.
Rispetto ai fatti e circostanze di cui, per adesso, conosciamo soltanto quanto riportato in alcuni articoli, chiediamo agli inquirenti di andare avanti. Ma anche – e soprattutto – di fare presto, perché la gravità delle accuse deve trovare riscontro non in vaghe ipotesi di reato ma in prove e circostanze di là di ogni ragionevole dubbio. E di fronte a prove e circostanze che dovessero rendere evidenti comportamenti illeciti, la nostra risposta sarà senza alibi e sconti per nessuno.
Voglio essere chiaro: qualora vengano appurate responsabilità, la nostra risposta sarà durissima. Ma nel frattempo non intendo lasciare il pallino del presente e del futuro della nostra organizzazione alla magistratura.
Ho rispetto e fiducia nel lavoro dei giudici, e siamo pronti alla massima collaborazione, ma siamo un’organizzazione sana, e chi ha eventualmente sbagliato l’ha fatto individualmente. Dico di più, abbiamo gli anticorpi per rispondere alla degenerazione sistemica di cui sono vittime le altre grandi organizzazioni.
E lo rivendico con orgoglio, pur avendo, insieme a voi, le tracce di ferite che ci hanno messo a dura prova.
Per questo posso affermare che questa vicenda, seppur dolorosa, appartiene ad un’altra era.
Quella di oggi è un’altra stagione che spinge a guardare avanti e a dare ancora maggior impulso all’operazione trasparenza che stiamo portando avanti da due anni a questa parte. Anzi, dobbiamo lasciarci alle spalle ogni timidezza in tal senso, perché questa, oggi più che mai, è la priorità. Perché non c’è un secondo tempo da giocare: la sfida si gioca qui e ora. E la responsabilità storica che abbiamo davanti ci chiede di essere protagonisti senza se e senza ma. Lo dobbiamo a noi stessi, alla nostra storia ma soprattutto ai milioni di lavoratori e lavoratrici, ai pensionati, ai giovani e ai disoccupati che hanno bisogno dell’Ugl.
D’altronde la sfida è ancora più alta rispetto al passato.
Come non accorgerci che è tornata in primo piano la lotta per diritti che, fino a qualche anno fa, davamo per acquisiti: dalle garanzie sul posto di lavoro, ai sistemi di protezione sociale, alle pensioni. E come non renderci conto che ciò che sta avvenendo nel mondo ci chiama a nuove e più alte responsabilità. Basti pensare ai nuovi assetti geopolitici che, di fatto, hanno profondamente cambiato gli equilibri globali.

La politica tradizionale non è più in grado di dare risposte. E le risposte della pseudo-politica a 5 stelle sono il sintomo della malattia, non la cura. E lo dico con rispetto dei milioni di elettori che scelgono il movimento di Grillo. Perché quel voto esprime un disagio e una rabbia sociale che ridurla a semplice “protesta” significa non aver compreso chi sono i vincitori e chi sono gli sconfitti della globalizzazione.
È nell’analisi di scenario che ci dobbiamo concentrare per questo devo richiamare la vostra attenzione su tre eventi molto significativi: il primo nazionale con il recente referendum costituzionale svoltosi nel nostro Paese, che ha registrato l’importante vittoria del No per cui anche l’UGL si è battuta.
E poi, a livello internazionale, la cosiddetta “Brexit” ossia il referendum popolare che ha sancito la volontà dei cittadini del Regno Unito di uscire dalla Ue e, infine, all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
Si tratta dei maggiori avvenimenti, ma non certo degli unici, nei quali, dando ai popoli la possibilità di esprimersi democraticamente, è emerso un sentimento diffuso completamente antitetico rispetto alle ricette politiche, e quindi anche economiche e sociali, dell’establishment del cosiddetto “mondo occidentale”.
Questi eventi politici – così significativi – dimostrano che i popoli, quello italiano in primis ma anche gli altri popoli dell’Occidente industrializzato, delusi ed amareggiati a causa degli esiti socialmente ed economicamente disastrosi del liberismo selvaggio e della globalizzazione, sempre più a gran voce richiedono un ritorno alla sovranità nazionale, a garanzia dei diritti e della stabilità sociale rispetto alla marea montante di una globalizzazione imperniata esclusivamente sugli interessi della finanza e dei mercati e su scambi economici e commerciali fondati essenzialmente sul dumping sociale.
Di fronte alla pressione dei mercati, retti da logiche competitive sleali, in assenza di una politica capace di tutelare la propria comunità nazionale, la globalizzazione negli Stati occidentali si è infatti tradotta in un costante e progressivo abbassamento delle tutele e del reddito da lavoro.
Ciò non solo ha comportato pesantissime ricadute economiche e sociali sui lavoratori e la classe media, ma ha anche acuito le conseguenze della crisi finanziaria ed economica internazionale, generando non – come sostenevano i fautori dell’ultra-liberismo – crescita e competitività ma al contrario stagnazione economica e impoverimento diffuso.
La globalizzazione infine, ha determinato un generale impoverimento non solo nei Paesi occidentali ed in genere anche in quelli più ricchi, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma anche in quelli in via di sviluppo.
La globalizzazione politica, accanto a quella economica, ha ulteriormente esasperato la situazione e tutti conosciamo i devastanti esiti politici e sociali dell’interventismo nelle aree nordafricane e mediorientali.
Di fronte a tale situazione, i popoli occidentali, europei e quello italiano chiedono ai propri rappresentanti un profondo cambio di rotta. Non solo ai rappresentanti politici in senso stretto, ma all’intera categoria dei decisori politici e quindi anche al sindacato.
È giunto il momento ormai non più rimandabile, di ridimensionare il ruolo dei mercati e della finanza e tornare a concepire la politica come tutela del popolo, indirizzando le proprie scelte verso soluzioni economiche e sociali che permettano ai ceti medi e bassi dei Paesi occidentali, ai medi e piccoli produttori, ai lavoratori ed ai giovani, ovvero le prime vittime della concorrenza globale, di sfuggire dal baratro nelle nuove povertà.
È tempo di sovranità nazionale.
Occorre riallacciare quel patto sociale nazionale che è fondamento stesso della politica e dello Stato e che vede come ultimo fine il benessere generale, presente e futuro, della Nazione, benessere sociale inteso come un armonico insieme di sicurezza economica e lavoro dignitoso, diritto alla salute e ad un ambiente sano, ricerca scientifica, innovazione tecnologica, crescita culturale e prospettive di vita dignitose e sicure.
L’essenza stessa di una società civile, di una comunità, di una Nazione, in sintesi dello Stato, consiste in quel patto di assistenza fra singoli individui che li trasforma in cittadini, in persone che pensano al “noi” e non solo all’ “io” ben sapendo che ciò non è soltanto un’azione altruistica, ma anche una strategia volta a risolvere problemi troppo grandi ed onerosi per poter essere affrontati da soli.
Per comprendere tale concetto, alla base dell’idea stessa di stato sociale, occorre pensare non al singolo portatore di interessi – sia esso il lavoratore che ha perso l’impiego, la piccola azienda in crisi, il bambino che necessita di un posto nel nido, il non autosufficiente che ha bisogno di assistenza o il non abbiente che ha bisogno di sostegno economico – ma alla cittadinanza nel suo complesso. Occorre tornare ad essere consapevoli che un popolo ha un destino comune e che offrire una risposta al popolo in difficoltà significa assicurare la tenuta stessa del sistema sociale.
In questo contesto il ruolo della UGL è tutt’altro che secondario.
La nostra è infatti la sigla del sindacalismo nazionale, ossia di quella visione del sindacato che, superando il concetto di lotta di classe, crede che una confederazione di lavoratori debba rappresentare le istanze del lavoro dipendente, dei pensionati e di coloro che hanno perso il lavoro o non lo hanno mai trovato in un’ottica di armonico sviluppo fra le parti sociali al fine del benessere economico e della crescita sociale dell’intera comunità nazionale.
Gli eventi recenti di cui ho parlato testimoniano che ormai la misura è colma ed i popoli, chiedono a gran voce di mettere al centro dell’agenda politico-economica il lavoro, la coesione sociale, la tutela delle comunità di fronte alle aggressioni del globalismo selvaggio.
Dal punto di vista strettamente sindacale ciò significa continuare a combattere contro le delocalizzazioni selvagge, l’assalto alla diligenza pubblica in tempo di crisi aziendale non bilanciata dall’attaccamento delle aziende stesse al territorio ed ai propri lavoratori; significa combattere l’utra liberismo nella disciplina del lavoro che vede nel jobs act il massimo esempioi di una visone di sfruttamento del bisogno di occupazione; significa contrastare un’austerity che sull’altare del rispetto delle regole di bilancio è disposta solo a sacrificare il welfare, le pensioni, i diritti e mai gli sprechi e i privilegi.
Battaglie che l’UGL ha sempre combattuto e che continuerà a combattere.
Ma ora è il momento di un ulteriore salto di qualità: comprendere con quali forze trovare convergenze, ognuno nel rispetto del proprio ruolo, al fine di vedere meglio rappresentate e possibilmente realizzate le nostre richieste ed i nostri Valori.
Non vorrei però tralasciare le nostre attività in corso prima fra tutte la conferenza programmatica che annunciata allo scorso consiglio nazionale ha subito un ritardo dovuto a fatti contingenti verrà lanciata nelle prime settimane di febbraio. rappresenterà la necessaria fase di dibattito precongressuale per costruire una piattaforma di rilancio dell’Ugl.
Sarete tutti chiamati a offrire il vostro contributo su alcuni temi che, secondo noi, rappresentano la sfida del sindacato per il prossimo decennio:
La società del mezzo lavoro: crisi dell’industria, lavoro povero e disoccupazione, terziarizzazione e delocalizzazioni delle vocazioni, politiche industriali e del lavoro;
Il tradimento del capitale: il capitalismo finanziario ha abbandonato la democrazia, le minacce e le aggressioni speculative agli Stati sovrani, la debolezza della politica;
Globalizzazione, la promessa mancata: il governo dal basso dei processi economici, la sfida del welfare contro le disuguaglianze, crescita e sviluppo umano;
La crisi del buon senso economico: il fallimento dell’austerità, l’Euro: la moneta senz’anima, ripartire dal lavoro e dal Mezzogiorno, gli investimenti e il ruolo della “mano pubblica”;
L’avanguardia della cultura sociale: il sindacato come laboratorio di idee, il pantheon della socialità.
Stiamo lavorando alla trasformazione dell’Ufficio Formazione Quadri in una scuola di formazione con un progetto di sviluppo delle competenze e delle conoscenze dei nostri quadri sindacali all’altezza delle sfide che ci attendono.
Dicevo all’inizio di questa relazione che questa che stiamo vivendo è e sarà per l’Ugl una nuova stagione.
Ne dobbiamo fare ancora di strada ma possiamo contare su un corpo sociale, come ho detto in premessa, assolutamente sano. Un corpo sociale fatto di Uomini e donne che malgrado tutto hanno continuato a metterci la faccia, nei territori, nelle categorie nelle migliaia di aziende dove i nostri rappresentanti si battono quotidianamente per difendere i colleghi. In conclusione, a tutti voi, alla classe dirigente, ai segretari territoriali provinciali e regionali, ai segretari di categoria, ai rappresentanti sindacali, ai nostri dipendenti e a quelli delle strutture parallele, ai collaboratori ma soprattutto ai lavoratori che con tenacia e determinazione, orgogliosamente portano alta la nostra bandiera va il mio ringraziamento.