“Il primo nemico delle vittime di violenza siamo proprio noi quando non reagiamo”.

Per fortuna, nel caso di Elisa, (la testimonianza toccante del convegno organizzato oggi a Roma dal Coordinamento Donne dell’Ugl) l’amore non ha ucciso e, dopo anni di violenze subìte tra le mura domestiche, la sua vera prigione, è riuscita a ritrovare la forza di reagire e di riappropriarsi della sua vita grazie alla consapevolezza del rischio.

“Ho dovuto reagire soprattutto per i miei tre figli ma, vi assicuro, durante questo lungo cammino mi sono sentita tante volte sola. Sola perché a volte non basta denunciare o confidarsi con le persone care. Noi vittime di violenza abbiamo bisogno di un sostegno concreto ed immediato”.

 

 

Con una voce sottile, ma finalmente libera, Elisa ha raccontato la sua storia ai presenti. Il suo racconto – rotto più volte dalle lacrime –  ha trafitto il cuore dei presenti ed ha aperto una seria e concreta riflessione su un tema (la violenza) e un fenomeno (il femminicidio) che stanno divorando i valori della nostra società.

“Quando è iniziato il mio calvario ero già madre dei miei tre figli e disoccupata, quindi c’era una sorta di sudditanza, dipendenza (quantomeno economica) nei confronti del mio uomo. Accettavo ogni sua azione o gesto, cercavo in tutti i modi di nascondere –  dietro un sorriso -il dolore e le violenze che scandivano le mie giornate e la mia ‘non vita’. Ho nascosto il dolore finché ho potuto. Il mio corpo ha deciso di rispondere alle botte con il dimagrimento: mi ero ridotta a 38 kg. Ero il fantasma di me stessa e durante la notte masticavo tutte le mie paure. Immaginavo la fuga da quella prigione con i miei tre figli. Anche il solo immaginare mi spaventava, non riuscivo a scappare a liberarmi dalle catene della violenza. Spesso era lui, il mio aguzzino, ad accompagnarmi al pronto soccorso e, per non farlo arrabbiare, avevo sempre la scusa pronta, non potevo denunciarlo l’avrei fatto arrabbiare. Come non potevo parlare nel momento in cui le forze dell’ordine, su segnalazione e per via delle nostre continue liti, raggiungevano la nostra abitazione. Ma io dovevo sempre e solo giustificarlo e lasciare che le sbarre di quella prigione divenissero sempre più impenetrabili”.

Grazie ad un’ispettrice di Polizia la donna è riuscita a ripercorrere il cammino della consapevolezza e della dignità, denunciando il suo uomo. Un manger, un uomo distinto ed elegante, un autentico dottor Jekyll e Mr. Hyde. “Dopo 9 anni di causa penali di cui porto ancora addosso il peso e il dolore, posso dire di aver superato solo il primo degli ostacoli: essermi staccata dal male. Ora devo, però, aiutare i miei figli. Il loro percorso, ostacolato dai ricordi di una vita familiare turbolenta, è alquanto complesso e in salita. Mi sentirà libera dal passato solo quando i miei figli riusciranno a riappropriarsi della loro vita”.

Elisa, oggi, ha lasciato in ognuno di noi un segno tangibile: le donne devo assolutamente ritrovare la consapevolezza, mentre gli uomini devono possedere un bagaglio di valori, partendo dal rispetto e dall’educazione.

Le vere vittime della violenza e del femminicidio sono, quindi, proprio i figli, e i cosiddetti ‘orfani speciali’, definiti così perché hanno perso due genitori insieme. Non solo la mamma uccisa (o come nel caso di Elisa vittima di maltrattamenti) ma anche il papà che si trova sotto pena detentiva oppure si e’ tolto la vita”. A rimarcare questo passaggio Stefano Cetica, Presidente del Patronato Enas, che parla di ben “1600 bambini, dal 2000 al 2016, vittime reali di questa atroce violenza: di cui circa l’84 per cento di questi ha assistito all’uccisione della propria madre e l’81 per cento ha quantomeno vissuto episodi di violenza.

Per Cetica “bisogna creare non solo un circuito di sicurezza e protezione per le potenziali vittime di femminicidio ma una forte rete di solidarietà e di prevenzione in risposta ad un fenomeno, purtroppo, sempre più in crescita”.

Ma come evidenzia Cetica un ruolo determinante in queste tragedie è nelle mani della magistratura: “Sono indispensabili pene certe e immediate per chi compie simili atrocità. Basta lasciare impunito chi uccide la propria donna”.

E il presidente del patronato Enas fa un esempio: “la nostra mobilitazione contro il femminicidio è partita l’estate scorsa a Catania con la testimonianza di Vera Squatrito. E’ stata lei a raccontare la storia di sua figlia Giordana, poco più che ventenne, morta un anno fa per mano del compagno, padre della sua piccola. Ad oggi, pensate, è iniziato solo il processo per stalking e, quello per il suo omicidio è ancora fermo al palo (clicca qui per leggere intervista integrale a Vera Squatrito https://www.lametasociale.it/?p=5038).

Intense le parole dell’On. Renata Polverini, Vice Presidente alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati (FI): “Le donne che denunciano le violenze subìte ci dicono che la loro difficoltà sta nello staccarsi dal nucleo familiare che gli crea disagio, perché sono sole e perché non hanno una indipendenza economica.

La politica oltre a combattere a livello culturale la spirale della violenza attraverso la promozione e il coordinamento di percorsi di conoscenza e informazione  nelle scuole e nei vari centri antiviolenza dovrebbe riuscire a canalizzare le potenzialità di chi denuncia. Quindi indirizzare le donne verso il mondo del lavoro partendo proprio da quelle strutture che si occupano di dare loro supporto sia legale sia psicologico”.

Poi la deputata aggiunge: “Bene le leggi a contrasto del fenomeno e sicuramente bene lo stanziamento di fondi sicuri e continuativi per tutti quegli spot che si occupano di accogliere le istanze delle donne. Ma solo questo non basta, perché come ha detto il prof. Villone, nel corso dell’incontro organizzato questa mattina dal coordinamento donne del sindacato Ugl, è soprattutto un problema di ristrutturazione delle emozioni e di promozione del rispetto di genere.  Partiamo quindi dalle scuole per educare le nuove generazioni e iniziamo seriamente a dare alle donne la possibilità di entrare senza nessuna sperequazione nel mondo del lavoro.
L’indipendenza economica e la realizzazione in campo professionale permettono di creare una rete sociale capace di non far sentire mai più sole le donne”.

Per Antonietta Celata, Responsabile Nazionale del Coordinamento Donne dell’Ugl e promotrice di questa mattinata di confronto: “Di fronte ad una chiara emergenza – e tale va considerata – occorre ridare giusto spazio alla prevenzione e mettere in piedi iniziative efficaci (proprio come quella che il patronato Enas ha messo in campo da mesi con la mobilitazione nazionale dal titolo “Lasciata sola: causa del decesso”) che aiutino le potenziali vittime a sviluppare una consapevolezza del rischio – precisa la Celata – Che aiutino le potenziali vittime a comprendere quando è il momento di chiedere aiuto, che sappiano leggere e interpretarne i segnali. Occorre, dunque, una maggiore sensibilizzazione dei servizi sociali per cogliere il fatto che c’è una difficoltà molto forte da parte delle donne che oggi subiscono violenze. La legge qualcosa ha fatto ma in maniera del tutto insufficiente. Su questo fronte siamo indietro sia culturalmente che giuridicamente”.

A seguire gli interessanti interventi di Vincenza Cinquegrana, psicologa, dottoranda di ricerca presso Sun che ha presentato l’iniziativa realizzata in collaborazione con la sua Università per avviare una seria campagna di prevenzione e di autovalutazione del rischio per le donne. (clicca qui per visualizzare nel dettaglio l’iniziativa http://www.casadelledonne-bs.it/2012/07/autovalutazione-del-rischio/).
Perchè  spiega “il primo passo per uscire dal tunnel della violenza è riconoscersi come vittima di violenza cercando, attraverso ad esempio attraverso il questionario, di capire se nella relazione con il partner o con un ex partner si registrano segnali di rischio di violenza o se si tratta di semplici litigi; Se nel caso subisca violenza, che pericolo c’è che la donna possa subire ulteriori vessazioni e se è opportuno che si rivolga a qualcuno per chiedere aiuto”. Il questionario, realizzato in forma anonima, in base alle risposte calcolerà un ‘profilo di rischio di violenza’ attraverso il quale verranno dati consigli e indicazioni su cosa è opportuno fare.

La parola è passata poi ad  Alessandra Fioretti, psicologa e psicoterapeuta “Credo molto nella prevenzione e per la professione che svolgo è doveroso far capire ai ragazzi qual’è il modo sano per stare in coppia”. Fioretti parla di “una necessità di plasmare un’educazione all’affettività e all’amore, quello vero, non quello malato e possessivo che oggi macchia la quotidianeità delle azioni”. Poi un consiglio alle donne: “Il primo schiaffo è già un campanello d’allarme, non bisogna permettere mai che si arrivi il secondo. Bisogna avere il coraggio di amare prima se stessi, volersi bene. E’ questo il primo step che permette di avere il coraggio di reagire e di ritrovare quella consapevolezza del rischio capace di staccarti completamente da quell’uomo possessivo e violento”. Sulla stessa linea d’onda Marina Tagliaferri, attrice di teatro e di “Un Posto al Sole”. Proprio nella fiction Marina veste i panni di una donna vittima di violenze che riesce a colmare il vuoto interiore aiutanto chi ha vissuto gli stessi abusi. Come assistente sociale nella fiction aiuta le donne a ritrovare se stesse e la propria vita.
Importanti le relazioni di  Giorgio Amato, regista e sociologo e di Matteo Villanova, criminologo e Direttore Osservatorio Laboratorio Tutela Rispetto Emozionale, Università Roma Tre. Entrambi hanno puntato il dito contro la ‘spettacolarizzazione dei crimini’. La tv, infatti, per i due professionisti deve offrire una visione pedagogica, risolvere i problemi e non riempire il contenitore televisivo di notizie macchiate di sangue”. Importante il passaggio relativo del criminologo sempre sulle difficoltà con le quali convivono gli orfani delle vittime di femminidicio prima fra tutte “la loro incapacità di elaborare emozioni”.  A moderare l’interessante dibattito la giornalista Fabiana Di Virgilio.