Un golpe al cuore dei diritti umani. Sono le notizie e la crudeltà delle immagini che continuano a catturare l’attenzione del mondo, dopo il fallito colpo di Stato in Turchia, a trasmettere questa sensazione di paura e di vuoto.

La reazione di Erdogan da quel terribile 15 luglio sta travolgendo come uno tsunami l’intero Stato: in queste ore è scattato il divieto di ferie e di espatrio per 3 milioni di dipendenti pubblici; quasi 8 mila gli arrestati fra militari, giudici e civili; oltre 13 mila sospesi dall’incarico fra poliziotti, giudici e dipendenti del ministero delle Finanze. Oltre agli arresti e alle purghe, il premier Binali Yildirim e il presidente Recep Tayyip Erdogan stanno pensando a ripristinare la pena di morte: sarebbe una decisione che renderebbe ancora più difficile il percorso per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, mentre vengono diffuse immagini choc sul trattamento dei soldati golpisti arrestati.

Nel mirino di Erdogan, dopo polizia, magistratura e esercito, sono entrati il mondo l’informazione, della scuola e dell’istruzione, pubblica e privata. Il Consiglio per l’alta educazione (Yok), organo costituzionale responsabile della supervisione delle università turche, ha chiesto le dimissioni di tutti i 1.577 tra decani, presidi e rettori universitari. Tra questi, 1.176 sono di università pubbliche e il resto di fondazioni universitarie. Sono inoltre stati sospesi con effetto immediato oltre 15.200 tra impiegati e funzionari del ministero della Pubblica Istruzione, mentre il ministero dell’Educazione ha revocato la licenza d’insegnamento a 21 mila docenti che lavorano in scuole private. Gli insegnanti sono tutti sospettati di essere legati al Feto, come è chiamato il movimento religioso, considerato dal governo turco una mera organizzazione terroristica, facente capo al predicatore Fethullah Gulen, ex alleato e ora nemico numero uno del presidente Recep Tayyip Erdogan, che lo accusa di essere dietro il tentato golpe. Le purghe non risparmiano neppure gli imam e i professori di religione. La Diyanet, massima autorità islamica che dipende dallo Stato, ha annunciato di averne allontanati 492. E poi, ancora: un centinaio di sospesi dai servizi segreti e 393 dal ministero della Famiglia, oltre ai 13 mila già cacciati dal ministero dell’Interno (per lo più poliziotti), da quello delle Finanze e dalla magistratura. Numeri spaventosi che fanno gridare da più parti a una sospensione totale dello Stato di diritto.  Continuano a crescere anche gli arresti. Le persone finite in manette con l’accusa di aver complottato con gli insorti sono salite a 9.322. Eppure, le responsabilità sul golpe si fanno sempre più oscure. In un comunicato ufficiale, le Forze armate hanno ammesso di aver saputo dai servizi segreti della preparazione di un colpo di stato già alle 4 di venerdì pomeriggio, con diverse ore di anticipo. Ma perché i golpisti non siano stati bloccati, resta al momento un mistero.
Nel giro di vite sull’informazione, il Consiglio supremo per la radio e la televisione (Rtuk) ha deciso di revocare le licenze di 24 emittenti radio o tv “collegate o sostenitrici” del movimento ispirato a Gulen. Tra queste, la tv Samanyolu, l’emittente Can Erzincan e radio Dunya. Sono invece finiti sotto inchiesta 370 dipendenti e giornalisti della tv pubblica Trt.

Un sit-in davanti all’ambasciata turca a Roma contro l’ulteriore stanno operando contro i giornalisti. Con l’hashtag #NoBavaglioTurco la Federazione nazionale della Stampa (Fnsi), Articolo 21 e Usigrai danno appuntamento oggi pomeriggio alle 15 in via Palestro, sede dell’ambasciata turca.

L’allarme di Amnesty International

Organizzazione internazionale è scesa in campo ed ha lanciato un allarme sulla situazione dei diritti umani in Turchia all’indomani del sanguinoso tentativo di colpo di stato del 15 luglio, a seguito del quale sono morte almeno 208 persone e sono stati eseguiti quasi 8.000 arresti. Diversi esponenti governativi, ricorda Amnesty in un comunicato, hanno inoltre proposto la reintroduzione della pena di morte per punire i responsabili del fallito colpo di stato. Amnesty International sta indagando sulle notizie di detenuti sottoposti a maltrattamenti ad Ankara e Istanbul e ai quali verrebbe negato l’accesso agli avvocati.

“L’elevato numero di arresti e di rimozioni dall’incarico è allarmante e  – si legge nella nota a firma di John Dalhuisen, direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Amnesty International  – stiamo monitorando attentamente la situazione. Il tentativo di colpo di stato ha scatenato un impressionante livello di violenza. I responsabili di uccisioni illegali e di altre violazioni dei diritti umani devono essere portati di fronte alla giustizia, ma la repressione contro il dissenso e la minaccia di ripristinare la pena di morte sono un’altra cosa rispetto alla giustizia”.

“Sollecitiamo le autorità turche – ha aggiunto Dalhuisen – ad usare moderazione e a rispettare lo stato di diritto nello svolgimento delle necessarie indagini, a garantire processi equi a tutti i detenuti e a rilasciare tutti coloro contro i quali non vi sono prove concrete di aver preso parte ad azioni criminali. Un arretramento nel campo dei diritti umani è l’ultima cosa di cui la Turchia ha bisogno”. In assenza di numeri esatti, le autorità turche hanno riferito che venerdì notte 208 persone sono state uccise e oltre 1400 ferite a Istanbul e Ankara. Tra le persone uccise figurano 24 “complottasti”, alcuni dei quali sarebbero stati linciati dopo che avevano cercato di arrendersi.