di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

In vista del 1° maggio, abbiamo ripetuto anche quest’anno un appuntamento che per l’Ugl sta diventando una tradizione: la presentazione del rapporto Censis-Ugl, grazie alla costante collaborazione con questo autorevole istituto di ricerca socio-economica. Perché, come ha efficacemente sintetizzato Stefania Pinna, giornalista di Sky e moderatrice dell’evento, “per raccontare la realtà servono i numeri”. Quest’anno il rapporto si intitola “Il lavoro è troppo o troppo poco? Restituire valore e dignità al lavoro per superare contraddizioni e paradossi”. Quello che emerge dalle analisi, che sono state incentrate in modo particolare sui giovani, è, infatti, la presenza di situazioni in qualche modo contraddittorie e paradossali, come ha ben illustrato la ricercatrice Censis Anna Italia. Un quarto della nostra forza lavoro è giovane, ma ci sono oltre due milioni di precari ed il 37,5% dei 25-34enni è sottoccupato, ovvero svolge un lavoro con ruolo e retribuzione inadeguata rispetto alle proprie qualifiche. Perché le qualifiche non sono corrispondenti a ciò di cui ha bisogno il sistema produttivo. I giovani sono pochi in rapporto alla popolazione, il 20% circa, ci sono molte risorse a disposizione, si pensi al Pnrr, c’è un alto livello di istruzione rispetto al passato, con, fra gli under-34, il 76,8% di diplomati ed il 28,3% di laureati. Eppure la domanda e l’offerta di lavoro non si incontrano, mancano le professionalità più richieste dalle aziende, che sono essenzialmente di tipo tecnico altamente qualificato oppure di manodopera non qualificata, mentre i giovani formati nelle materie umanistiche continuano a non trovare lavoro. Resta alto il numero dei Neet e dei giovani che non trovando occupazioni soddisfacenti decidono di emigrare all’estero. Secondo il professor De Rita, il tutto a causa di una visione ideologizzata del percorso di scolarizzazione della popolazione, non centrato, come avrebbe dovuto essere, su una più pragmatica ed utile connessione con il mondo del lavoro. Fatto sta che si è creata una situazione stagnante, con ripercussioni sulla demografia e la sostenibilità del sistema previdenziale, sul blocco dell’ascensore sociale, sulla produttività delle imprese, sulla crescita di stipendi e salari, in generale sullo sviluppo del Paese. Che fare? Servono interventi di tipo diversificato. Sono necessarie riforme dal lato dell’istruzione, della formazione e delle politiche attive del lavoro. Occorre un’adeguata politica dei redditi, per superare la diminuzione costante del valore reale degli stipendi. Bisogna puntare sulla conciliazione lavoro famiglia che, come strutturata finora, non ha prodotto evidentemente risultati apprezzabili. Temi che coinvolgono il sindacato, ma anche le imprese, perché bisogna anche puntare su una maggiore appetibilità dei beni e dei servizi che offriamo sui mercati, modernizzando le imprese, anche tramite nuove relazioni industriali all’insegna della contrattazione aziendale e della partecipazione dei lavoratori. Temi che riguardano soprattutto il governo, che dovrebbe inaugurare una stagione di vera e propria rivoluzione per rendere di nuovo il lavoro, come dice la stessa Costituzione, elemento fondante della nostra Repubblica.