di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Secondo il Fondo Monetario Internazionale le prospettive economiche globali si sono fatte più cupe ed «una quota crescente di paesi del G20 è passata dal trovarsi in territorio di espansione all’inizio dell’anno a livelli che segnalano contrazione». Fra questi Stati, per varie ragioni in difficoltà di fronte alle sfide imposte da guerra, crisi energetica ed inflazione, anche diversi membri dell’Unione europea, la nostra Italia ad esempio, ma in compagnia di altri, dalla Spagna alla Francia, fino all’insospettabile Germania. Per quanto riguarda l’Italia, il suggerimento dell’Istituto è quello di cercare di affrontare gli elevati livelli di debito, ma proteggendo i più deboli. Un equilibrio non certo facile da raggiungere. Contenere ed in prospettiva ridurre il debito resta cosa necessaria, lo sappiamo, affinché il Paese abbia in futuro basi più solide e maggiori margini di manovra. Altrettanto doveroso, però, e forse ancor più vitale, farlo senza mettere nel frattempo a rischio non solo la coesione sociale, ma anche la produzione, il lavoro, il sistema economico, evitando misure draconiane all’insegna dell’austerità che alla lunga avrebbero effetti controproducenti. «Razionalizzare e migliorare i processi di investimenti pubblici può dare uno slancio agli investimenti verdi, accelerare la transizione verde e sostenere la crescita. Azioni utili in questo senso includono il ridurre gli ostacoli amministrativi e legali, migliorare il coordinamento fra i diversi livelli di governo». Così sollecita il Fmi, in modo condivisibile, in particolare insistendo, per quanto riguarda l’Italia, sulla necessità di maggiore trasparenza. C’è poi, però, l’invito del Fondo, rivolto al nostro Paese, oltre che a Francia e Germania, a procedere con nuove riforme del mercato del lavoro. Certamente sarebbero opportuni miglioramenti, purché la linea sia quella di coniugare la modernità con il miglioramento della qualità dell’occupazione e con la protezione sociale, come in passato non è stato fatto. Per essere più chiari: il sistema si regge coinvolgendo positivamente tutte le componenti della comunità e un lavoro povero e precario non solo non è una soluzione equa, ma alla lunga comporta ripercussioni dannose per tutti, dal punto di vista anche economico, con minori consumi, piccoli e grandi, e quindi minore crescita e benessere. Serve altro: formazione, lavoro di qualità, un sistema che favorisca concretamente la produzione e la partecipazione dei lavoratori. Stesso discorso per la riduzione, sacrosanta, del debito pubblico: certamente c’è bisogno di rigore, ma è anche necessaria la crescita del Pil, denominatore del rapporto, affinché la corsa alla diminuzione del debito non sia un eterno “supplizio di Tantalo”. Fondamentale che si comprenda questo concetto nell’elaborazione del nuovo patto di stabilità e, appunto, crescita di cui si dibatte in sede europea.