di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Mentre lo sguardo del mondo intero è orientato, giustamente, verso l’Europa orientale e sugli sviluppi della situazione in Ucraina – oggi è il 9 maggio e si attendono gli esiti di questa giornata preannunciata da tempo come decisiva per l’evolversi della guerra – è accaduto qualcosa di molto significativo anche sulla sponda opposta del Vecchio Continente, all’estremo occidente, in Irlanda del Nord. Alle elezioni, che si sono svolte qualche giorno fa ma i cui risultati definitivi sono arrivati nel weekend, ha vinto, per la prima volta nella storia del Paese, il Sinn Féin, un’organizzazione strettamente legata al conflitto secolare tra irlandesi e inglesi, tra cattolici indipendentisti e unionisti protestanti, ex organo politico dell’Ira, principale interprete della volontà di una parte dei cittadini delle Sei Contee di proclamare l’autonomia da Londra e ricongiungersi all’Eire. Un partito che da sempre rappresenta una corposa fetta dell’opinione pubblica, ma finora di minoranza, in quella parte dell’Isola nella quale è più massiccia la presenza protestante, costituita dai discendenti dei coloni provenienti dalla Gran Bretagna. E invece adesso il Sinn Féin è il primo partito, con il 29% delle preferenze, ed ha conquistato 27 seggi al parlamento nord-irlandese, lasciando alla formazione unionista, il Dup, solo 24 seggi. In base ai complicati meccanismi di pesi e contrappesi fra le rappresentanze delle due comunità, per la prima volta dopo 101 anni dalla divisione dell’isola e dalla nascita dell’Irlanda del Nord, il ruolo di primo ministro spetterà ad un esponente del partito repubblicano e indipendentista, l’attuale vicepremier nord-irlandese Michelle O’Neill, che, commentando i risultati elettorali, dopo aver celebrato la storica vittoria parlando di una nuova era di diritti ed uguaglianza per coloro che sono stati esclusi, discriminati o ignorati nel passato, riferendosi ovviamente ai cattolici del nord, ha anche detto chiaramente che l’obiettivo della riunificazione è già oggetto di un sano dibattito. Più che lecito chiedersi quale sarà il futuro del Regno Unito. Molti, con fondate ragioni, considerano la vittoria del Sinn Féin una conseguenza della Brexit: l’appartenenza di entrambe le Nazioni, Gran Bretagna ed Eire, all’Unione europea, negli ultimi anni aveva in parte stemperato le tensioni nell’Irlanda del Nord, sciogliendo le appartenenze nazionali nel grande calderone comunitario privo di confini, ma, con l’uscita di Londra dalla Ue, i nodi irrisolti sono tornati al pettine. Fra l’altro, col protocollo Brexit, concordato tra Regno Unito e Ue, il confine dovrebbe tornare, ma spostato, con la creazione di una dogana non tra le due Irlande, ma tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rendendo così la possibilità di una riunificazione sempre più probabile. Quella del Sinn Féin va considerata, quindi, una vittoria dell’europeismo? Piuttosto sembra un chiaro segnale del fatto che il sentimento di appartenenza e identità nazionale è impossibile da sradicare, nonostante il passare degli anni e dei secoli, restando vivo in attesa di una strada politica percorribile per imporsi.