Preoccupa molto la precarietà della nuova occupazione post Covid-19

Meglio rispetto al 2020, ma un poco peggio rispetto allo stesso periodo del 2019, quando peraltro si era già imboccata la parabola discendente dell’occupazione. Nei tre mesi a cavallo fra novembre e gennaio scorsi, le assunzioni nel nostro Paese sono cresciute in maniera molto significativa, arrivando a oltre 6,6 milioni. In termini percentuali, siamo ad un più 22%. Se, però, guardiamo alla fine del 2019, resta ancora un gap da colmare. Non grandissimo, in quanto parliamo di un meno 5%, ma comunque preoccupante in prospettiva. La cosa che allarma i sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil e Ugl è che la nuova occupazione appare strutturalmente precaria. Mentre crescono pochissimo i contratti a tempo indeterminato, si assiste ad una esplosione delle varie tipologie di contratto a tempo, compresi gli stagionali e i somministrati. È proprio questa precarietà che potrebbe con il tempo pesare tantissimo, soprattutto se non parte la formazione e la riqualificazione professionale. Non a caso le organizzazioni sindacali hanno sostenuto il rafforzamento del Fondo nuove competenze e l’ipotesi di estendere le attività formative degli enti paritetici per la formazione continua anche ai disoccupati e alle persone inattive. Un aspetto che ha trovato riscontro anche presso il ministro Andrea Orlando.