di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

Si avvicina il Natale e tutti vorremmo essere più “buoni” e meno polemici, ma, a volte, certi scivoloni mandano a monte anche le migliori intenzioni. Va bene sdrammatizzare, giustissimo stemperare le tensioni, sacrosanto cercare di puntare su una comunicazione meno allarmistica sui temi relativi a pandemia e vaccini, dopo quasi due anni di vita in emergenza sanitaria ed economica costante. Ma la canzoncina di Bassetti, Crisanti e Pregliasco, che reinterpretano le note di Jingle bells nel corso di un intervento nella trasmissione radiofonica “Un giorno da pecora”, per incitare alla vaccinazione e al distanziamento sociale durante le feste, no, proprio no. Gli italiani non sono bambini, ma adulti preoccupati per un virus che non se ne va, che si trasforma, che continua a contagiare e causare ospedalizzati e vittime – nonostante numeri ancora accettabili in paragone agli altri Paesi – che ci mette di fronte a nuove limitazioni, seppure parziali rispetto a quelle del passato, in attesa che il 23 la cabina di regia governativa ed il CdM ci facciano sapere cosa potremo fare durante e dopo le festività natalizie. La campagna vaccinale è stata un successo, i numeri sono altissimi, ma forse questo stato delle cose deriva più dal senso di responsabilità degli italiani e dalle decisioni drastiche della politica, Draghi, Speranza e Figliuolo, che hanno generato anche aspre polemiche fra i cittadini, che non dal convincimento generato dalle parole degli addetti ai lavori, i virologi, appunto. Tanto presenzialisti nei media quanto portatori di una modalità comunicativa a volte contraddittoria, altre troppo perentoria, comunque non sempre all’altezza della situazione. Ora, di nuovo, i cittadini si trovano a porsi dubbi e domande sulla situazione pandemica, sulla nuova variante, sull’efficacia temporale dei vaccini, sulla protezione fornita dagli stessi contro Omicron, sulla differenza fra i preparati attualmente in uso e quello nuovo “tradizionale” che dovrebbe arrivare a breve, sull’opportunità di vaccinare i piccoli da 5 a 11 anni, fragili o sani, e sul rapporto rischi benefici per entrambe le categorie di minori. Domande importanti alle quali rispondere, da virologi, numeri e dati alla mano, in modo chiaro e comprensibile, per dissipare eventuali timori. Poi, alla politica il compito di decidere le misure pratiche di contenimento, ai giornalisti quello di porre domande esaustive agli esperti per spiegare ulteriormente le cose, agli intrattenitori quello di far divertire gli spettatori. Gli italiani non sono bambini, ma neanche agli stessi bambini veri e propri poteva essere proposta la “famigerata” canzoncina, essendo ormai abituati a districarsi tra media e social fin dalla più tenera età, purtroppo o per fortuna, con più dimestichezza e disincanto degli adulti. Ce la stiamo mettendo tutta, tra la disciplina degli italiani e il tentativo di Draghi di impostare un governo unitario e all’insegna del rigore. Con queste sortite delle “virostar” si ottiene, però, il risultato di riconfermare il motto di Flaiano: «la situazione in Italia è grave, ma non è seria».