Inflazione debole e al di sotto dell’obiettivo del 2%, debolezza persistente dell’economia dell’area e persistenti rischi al ribasso. Sono questi, in sostanza, i fattori che hanno portato la Banca Centrale Europea a correre ai ripari riavviando il Quantitave easing. Nel comunicato riassuntivo delle decisioni di politica monetaria prese dall’Eurotower, infatti, si legge che a partire dal 1 novembre saranno riavviati gli acquisti netti di attività a un ritmo di 20 miliardi di euro al mese. Il consiglio direttivo ha inoltre deciso di tagliare di dieci punti base i tassi d’interesse sui depositi, portandoli al -0,50%, lasciando invariati allo 0,00% e allo 0,25% i tassi di interesse sulle principali operazioni di rifinanziamento e i tassi sull’indebitamento marginale. Come sua ultima mossa alla guida della BCE il presidente Mario Draghi ha quindi deciso di non aspettare, rispolverando il bazooka. Una mossa, ha spiegato lui stesso nella conferenza stampa post riunione, non condivisa da una minoranza del Consiglio direttivo, la quale avrebbe preferito aspettare, ma che si è resa necessaria visto che «la debolezza dell’economia europea si sta protraendo più a lungo del previsto». Debolezza che trova conferma anche nella rivisitazione al ribasso delle stime per il biennio in corso: il Pil dovrebbe crescere dell’1,1% nel 2019 e dell’1,2% nel 2020, contro il 1,2% e il +1,4% previsti a giugno, mentre per l’inflazione si stima ora un +1,2% e un +1%, dal +1,3% e dal +1,4%.