di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La “linea del fronte” della politica italiana si è spostata a Bruxelles. Archiviato l’ultimo turno elettorale, ora l’attenzione è concentrata sulle prossime mosse che saranno messe in atto dalla Commissione europea guidata – ancora per poco – da Juncker. Con lo spettro della procedura di infrazione. Si nota, in merito, un certo riposizionamento non solo dei partiti, ma anche dei più noti opinionisti: la necessità di rivedere in modo sostanziale l’impianto delle regole europee sta diventando un valore condiviso anche da parte di coloro che fino a poco tempo fa erano i più severi difensori dell’austerity. Insomma, checché se ne dica, le istanze sollevate dai sovranisti hanno fatto breccia nelle menti e nei cuori di quelli che sovranisti certo non sono mai stati. Che sia una conversione sincera o solo dettata dall’impossibilità di continuare a difendere tesi ormai insostenibili, pena la definitiva alienazione del consenso popolare, poco importa. La saggezza orientale dice “non conta il colore del gatto, basta che prenda il topo”, quindi se finalmente anche i neoliberisti nostrani stanno comprendendo il fatto che le regole economiche Ue sono sfavorevoli verso il nostro Paese e controproducenti ai fini della coesione sociale ed anche della crescita, ben venga. La riprova di questo ripensamento si trova tra le righe dei giornali. Oggi, ad esempio, nell’intervista rilasciata da Carlo Cottarelli a La Verità, l’economista suggerisce al Governo di non rispettare i parametri, ma evitandoli usando la furbizia e non mediante uno scontro diretto con la Ue. Così anche nell’editoriale di Cerasa su Il Foglio si invitano i populisti, o in alternativa anche le opposizioni, a creare un fronte europeo per la revisione dello status quo. Da non credere. Acclarato finalmente quello che ormai è diventato un dato di fatto per tutti, ossia la necessità di archiviare l’austerity o quantomeno, pur mantenendo gli obiettivi di risanamento dei conti pubblici, di modificare profondamente le regole europee, il dibattito si è spostato dal “cosa” al “come”. Ovvero come comportarsi in sede di trattativa con la Commissione per ottenere quanto voluto. C’è chi ritiene più utile una linea morbida, al momento incarnata da Conte e Tria, chi invece considera necessario il pugno duro con Bruxelles, l’approccio di Salvini e Di Maio. Resta l’impressione che la “doppia coppia” di governo sia più coesa di come appare e intenzionata a bilanciare la voce grossa, per farsi ascoltare da un’Europa sorda, e la mediazione, per arrivare a risultato. Il bastone e la carota. Se, comunque, ancora si dibatte su come agire, l’obiettivo della revisione delle regole è ormai diventato – grazie ai tanto vituperati populisti – patrimonio comune, dentro l’Esecutivo e soprattutto fuori, fra chi prima difendeva a spada tratta le pretese di Bruxelles. Meglio tardi che mai.