di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Dato che la leggenda di Robin Hood si è trasformata in un mito universale, conosciamo – tutti e bene – di cosa parlasse la storia del “principe dei ladri”, specializzato nel rubare ai ricchi per dare ai poveri. Il bandito giustiziere restituiva il maltolto al popolo lavoratore oppresso dalle troppe tasse dall’avido principe Giovanni, ovvero l’usurpatore che approfittava dell’assenza del re legittimo, Riccardo Cuor di Leone, impegnato nelle Crociate. Questo il racconto. Una storia romantica d’altri tempi, ormai entrata nell’immaginario collettivo al punto che, se qualcuno prova a travestirsi da Robin Hood senza avere le caratteristiche per farlo, l’escamotage riesce male. È il caso del cardinale Krajewski e del suo gesto clamoroso: ovvero riattaccare l’elettricità in un palazzo occupato nel cuore di Roma, in cui vivono circa 400 persone in difficoltà, dopo che la corrente era stata staccata per un debito, pare, di circa 300 mila euro. Intendiamoci, è giusto che le autorità pubbliche competenti provvedano ad assistere i bisognosi facendo in modo che possano vivere dignitosamente, luce compresa, ed è inaccettabile che invece così non sia stato fatto. Occorrerebbe esaminare la situazione dei residenti e, se ne hanno diritto sulla base della loro condizione economica e sociale, trovare loro celermente sistemazioni adeguate. Ciò che invece non è affatto giusto, ciò di cui molti, moltissimi italiani sono profondamente stufi, è questo continuo camminare sul filo che divide bontà e buonismo, bisogno e furbizia. A qualcuno in Italia si richiede – un po’ come faceva il Principe Giovanni, per tornare alla storia di Robin Hood – di pagare tutto, subito e fino all’ultimo centesimo, comunque vadano le cose, altrimenti sono guai. Di solito questo qualcuno sono le persone semplici, che lavorano con dignità e che se sono in difficoltà tirano la cinghia senza chiedere nulla a nessuno, tantomeno pretendere. Per loro, finalmente, sono state prese alcune misure, dal saldo e stralcio all’RdC, accolte da alcuni come elargizioni a fannulloni o evasori. Per qualcun altro, invece, tutto è più morbido, elastico, interpretabile, ed esiste un mondo intero che vive – e anche molto bene – in questo spazio etereo e fumoso di un no-profit il cui conto finale, molto spesso, viene pagato non dai “buoni” o da quelli che si autoproclamano tali, ma da quella gente comune che magari, alla fine, passa anche per “cattivista”. Sarebbe ora che, invece, anche questo variegato settore – non i bisognosi che assistono, sia chiaro – iniziasse a prendersi fino in fondo le proprie responsabilità legali, penali, economiche e fiscali. Tutti uguali, finalmente. Sicuramente si troverebbero molti più fondi e risorse per aiutare in modo limpido e trasparente, e quindi senza polemiche, ma anzi, ne siamo certi, con unanime approvazione, chi ha davvero necessità.