«L’economia dell’Eurozona ha iniziato il secondo trimestre col piede sbagliato», aveva scritto Chris Williamson, economista di IHS Markit, commentando l’andamento dell’area alla luce delle ultime indicazioni sull’indice PMI composito. Un andamento che addirittura ha sollevato interrogativi sulla possibilità che l’Eurozona possa crescere ad un tasso superiore all’1% nel corso del 2019. Pessimisti, seppur meno rispetto a Williamson, anche gli economisti intervistati dalla Banca centrale europea per il Survey of Prefessional Forecasters, che prevedono una crescita del Pil del 2019 inferiore di tre decimi rispetto alle stime del sondaggio precedente: +1,2% contro il +1,5%. Previsioni che si allineerebbero a quelle formulate dalla stessa Banca centrale, che per il 2019 prevede un +1,1%, dal +1,7% indicato in precedenza. Un rallentamento che confermerebbe l’aumento dell’intensità della fase di debolezza che aveva già interessato la seconda metà del 2018 (nel quarto trimestre il Pil dell’area era aumentato di appena due decimi di punto), comportando un rallentamento del Pil dell’intero anno al +1,8% dal +2,4% del 2017. Un dato rappresentativo di quest’indebolimento dell’economia dell’area è l’ultimo dato relativo alla produzione industriale che, secondo l’Eurostat, a febbraio è diminuita dello 0,2% mensile e dello 0,3% annuo, soffrendo in entrambi i casi anche il ribasso che ha interessato la Germania: -0,4% rispetto a gennaio e -2% rispetto al febbraio scorso.