di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Due fatti importanti che sembrano lontanissimi e che, invece, sono legati da un filo sottile. Tra le pieghe delle notizie odierne, ce n’è una apparentemente marginale, ma che in realtà è piuttosto rilevante: un gruppo di studiosi dell’Università di Yale ha ripristinato la circolazione del sangue e le funzioni cellulari – non la coscienza, però – nel cervello di un maiale, diverse ore dopo la sua morte. Al risultato eccezionale di questo esperimento, l’autorevole rivista scientifica Nature ha dedicato la propria copertina. Si tratta certo di un passo iniziale e prima che il risultato del progetto possa tradursi in applicazioni nella vita quotidiana potrebbero passare decenni, ma la scoperta apre le porte a nuove opportunità nel campo medico e farmaceutico, dato che finora si riteneva impossibile ripristinare tali funzioni fondamentali a distanza di ore dal decesso nei mammiferi e quindi potenzialmente anche nell’uomo. Tutti ci rallegriamo delle sempre più ardite possibilità offerte dalla scienza, che ci possono aiutare a combattere le malattie e a posticipare il più possibile la morte. Oltre alla speranza, resta, però, anche un inquietante retrogusto nell’apprendere dell’esperimento sui suini “zombie”, quello legato agli interrogativi eterni sul senso della vita e sul difficilissimo rapporto tra scienza ed etica, fra il più che legittimo e istintivo desiderio di sopravvivere a lungo e in salute, noi e i nostri cari, e l’altrettanto naturale e insopprimibile dubbio sul rispetto della sacralità della vita. Nel frattempo, ed è questa la seconda notizia, a Parigi e in tutta Europa si discute sul futuro di Notre Dame dopo lo spaventoso incendio di lunedì. Ci si chiede come sia potuto accadere, si parla di come ricostruire, si cercano e si trovano fondi per avviare il restauro della cattedrale. Alcuni notano che attorno al fatto sia sorto un pathos eccessivo. D’altro canto, dicono, per fortuna non ci sono state vittime e, a fuoco spento, anche i danni sembrerebbero gravi, ma non irrecuperabili. Nel mondo ci sono tante tragedie in corso, con vittime umane e non di pietra. Perché, allora, tanta partecipazione? Forse, è una possibile risposta, il senso di sgomento nel veder bruciare Notre Dame è un po’ simile a quello che coglie i lettori che apprendono dell’esperimento di Yale: riguarda il nuovo tabù del mondo occidentale, il sacro. Quella che ardeva nella notte parigina non era solo una monumentale opera d’arte, la prova tangibile dell’ingegno dei costruttori, degli scultori, dei pittori dei tempi passati. Anche questo, ma non solo. Ad andare in fiamme era soprattutto un luogo sacro, e la cosa, persino nel nostro mondo che cammina a passi spediti verso il post-umano, non riesce, nonostante tutto e qualunque sia la fede religiosa o laica che professiamo, a lasciarci indifferenti.