La Corte costituzionale ha messo la parola fine ad uno dei provvedimenti più controversi degli ultimi anni: quello che prevede l’erogazione del trattamento di fine servizio, comunque denominato, in maniera differita nel pubblico impiego. La misura era stata introdotta sulla scia dei provvedimenti iniziati con il cosiddetto Salva-Italia, il decreto legge del dicembre del 2011 che aveva al suo interno la riforma delle pensioni targata Fornero. Successivamente, stante la necessità di contenere la spesa pubblica, nel 2013, un successivo provvedimento aveva introdotto il pagamento differito del trattamento di fine servizio scaglionato a secondo dell’ammontare. In seguito all’introduzione di questa norma, una dipendente pubblica si era rivolta ad una organizzazione sindacale di categoria, promuovendo un ricorso al Tribunale di Roma che, a sua volta, aveva investito della questione la Corte costituzionale. L’Alta corte, però, oggi conferma che il pagamento differito a rate non è irragionevole. Una decisione diversa avrebbe comportato la necessità per il governo di trovare risorse importanti – stimate addirittura in 9 miliardi – per far fronte al pagamento del Tfs presente e passato. La sentenza fa venir meno anche alcuni dubbi relativi al pensionamento con Quota 100 dei dipendenti pubblici. Peraltro, il decreto attuativo prevede la possibilità di chiedere un prestito con tasso agevolato e detassazione.