di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

 

Interrogarsi sullo smart working, quello che in italiano si traduce in lavoro agile, in concomitanza con la ricorrenza dell’8 marzo, quando si celebra il lavoro delle donne, non è e non può essere un caso. Tutte le statistiche – lo abbiamo visto anche in un precedente numero di Meta Sabato – certificano le tante, troppe, disuguaglianze che penalizzano l’universo femminile. La ridotta partecipazione al lavoro; la difficoltà ad occupare posizioni apicali, anche in presenza di una migliore preparazione di base; assegni pensionistici più bassi: l’elenco potrebbe essere lungo, investendo anche la cultura, lo sport, la musica. E tutto ciò succede per la carenza, nel nostro Paese, di strumenti adeguati di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. L’Ispettorato nazionale del lavoro racconta di quante giovani madri sono costrette, loro malgrado, a licenziarsi alla nascita di un figlio. Mancano, da sempre, le strutture. La nostra Organizzazione sindacale ha cercato di promuovere l’istituzione di nidi aziendali, riuscendo a portare a casa molti risultati importanti; è evidente che ciò non sufficiente, se non si realizza un sempre maggiore coordinamento fra il territorio e l’impresa, anche attraverso l’innovazione da noi proposta del contratto di comunità. Intanto, abbiamo lo smart working, uno strumento contrattuale che si sta sperimentando nel lavoro pubblico – lo scorso 13 dicembre è stata la prima giornata del lavoro agile – e privato. È ancora un fenomeno di nicchia, riguardando circa il 7% degli occupati, ma che potenzialmente è destinato a crescere perché facilita la conciliazione, ma anche per ridurre l’impatto sull’ambiente di milioni di lavoratori che si muovono quotidianamente.