di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Oggi l’editorialista Angelo Panebianco sul Corriere della Sera invita il Nord e il Sud a unirsi per «sconfiggere il blocco antiindustriale e improduttivo oggi politicamente vincente», perché altrimenti «difficilmente l’Italia tornerà ad essere ciò che pure è stata nei momenti più felici della sua storia: una comunità». A quale Sud e a quale Nord – dubitando però che ciò possa realmente accadere – Angelo Panebianco si appella? In particolare alla «parte migliore della società meridionale», quella che vuole restare ancorata alla modernità. In caso contrario, il rischio è che il 2019 potrà essere ricordato dagli storici del futuro come l’anno di una svolta, di un deciso allontanamento, «giunti a questo punto forse irreversibile», del Nord dal Sud. La causa dell’allontanamento sono i «no» alla Tav nel Piemonte, il «no» alle trivelle al largo della Puglia e anche il reddito di cittadinanza che equivarrebbe ad una rinuncia di una parte del Sud, quella ormai arruolata nel partito anti industriale, a contribuire alla ricchezza e allo sviluppo del Paese, preferendo piuttosto drenare risorse al Nord. Un territorio quest’ultimo che sta attuando una secessione silenziosa attraverso la battaglia che alcune regioni stanno portando avanti attraverso la richiesta di maggiore autonomia.
Uno scenario apocalittico che tuttavia esiste già da tempo e nei fatti, per scelte politiche e per miopi quanto impliciti disegni di abbandono del Sud, se non proprio voluto comunque lasciato accadere, attuati dal precedente “paradigma politico”, fluttuante tra centro sinistra e centro destra, che per molti anni ha governato in modo assolutamente fallimentare questo Paese, pur ricco ma comunque in crisi e alla perenne ricerca di una valida occasione per crescere. L’Ugl, in particolare, si è sgolata per anni lanciando appelli e allarmi contro la deriva pericolosa che stava imboccando il Mezzogiorno: dalla progressiva desertificazione industriale alla mai sopita emigrazione fatta soprattutto di giovani e di belle speranze che preferivano mettere radici altrove, fino ad arrivare al più recente fenomeno delle culle vuote.
L’allontanamento del Sud dal Nord di fatto avviene, è già avvenuto tutte quelle volte che si è scritto e parlato per decenni dei tanti divari e delle tante forbici che separavano e separano sempre più macroscopicamente i due territori, senza che fino ad oggi alcuno abbia opposto politiche di investimento e anticicliche rispetto ad una crisi nata nel 2008. Queste, insieme alla pervicace e fatale scelta di privilegiare l’equilibrio dei conti pubblici, sono state e sono ancora le premesse di una separazione che già rischia di essere irreversibile tra Nord e Sud – e anche della nascita dei gilet gialli in Francia – contro la quale con grande lungimiranza Matteo Salvini, in tempi non sospetti, ha deciso di cambiare la mission del suo movimento, da partito del Nord a partito nazionale.
E anche per quel che riguarda la perduta unità del Paese, si potrebbero ancora versare litri e litri di inchiostro sugli errori storici di tutta la sinistra, da quella più massimalista alla riformista, di molto precedenti alla Lega Nord di Umberto Bossi, che hanno scientemente voluto cancellare sentimenti di orgoglio e di patria, bollati allora e ancora oggi con aggettivi dal sapore assolutamente negativo, come certi intellettuali attribuiscono al termine “sovranismo”, che, sotto mentite spoglie, e raccogliendo le forze del Sud e del Nord più “ricchi”, così sembrerebbe di capire tra le righe l’editoriale di Panebianco, qualcuno vorrebbe resuscitare.
Chi oggi è al governo sta tentando di sanare quella ferita, quella separazione già in atto tra Nord e Sud, tuttavia partendo prima da chi ha di meno e non, come tra le righe vorrebbe Panebianco, da chi ha di più. Che è cosa assai diversa dall’essere «antindustriale e improduttivo».