di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Hanno suscitato molto scalpore le parole che qualche giorno fa ha pronunciato l’ex ministro dello sviluppo economico ed oggi esponente in vista del Partito democratico, Carlo Calenda, il quale, come un genitore o uno zio preoccupato, ha espresso la sua contrarietà rispetto all’utilizzo eccessivo dei videogiochi da parte delle giovani generazioni. Secondo Calenda, i videogame «causano incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento». Un giudizio netto, pesante che ha provocato la reazione della Aesvi, l’associazione degli sviluppatori nostrani, inquadrati all’interno dell’universo confindustriale. L’Aesvi ha richiamato giustamente numeri importanti di un fenomeno in assoluta crescita. Volendo essere indulgenti, Calenda ha parlato da comune cittadino, da una persona che guarda un figlio o un nipote che passa un po’ troppe ore davanti allo schermo di un computer, di un televisore, di una console portatile o di uno smartphone. Se è vero che qualche complicazione sulla salute può esserci – ma qui molto dipende da una educazione all’utilizzo dei diversi strumenti – è altrettanto vero che il settore presenta delle potenzialità occupazionali enormi. Quando si parla di sviluppatori, si pensa soltanto agli informatici, ad una nicchia in crescita, ma ancora minoritaria nel mondo del lavoro. Non è così, perché intorno ai videogiochi si muove un universo di professionalità decisamente variegato. Servono disegnatori, come pure esperti in storia e in letteratura perché anche il videogame più semplice ha dietro un racconto da sceneggiare, dialoghi, ricostruzioni storiche, messaggi da inviare ad una platea sempre più eterogenea per età, titolo di studio e caratteristiche economiche e sociali.