È probabilmente il più incredibile dei paradossi osservare come a fronte di un accordo sulla Brexit debba essere proprio la Ue – anche se, pure qui, non tutti la pensano allo stesso modo – a dare sostegno alla premier britannica Theresa May. Ieri sera Londra e Bruxelles hanno raggiunto finalmente un accordo, «un momento importante – lo ha definito stamattina il capo negoziatore dell’Ue Michael Barnier –. L’accordo è giusto ed equilibrato, assicura le frontiere dell’Irlanda e getta le basi per un’ambiziosa relazione futura. Ma abbiamo ancora una lunga strada davanti e non c’è tempo da perdere». Ma in Inghilterra, tra Tory e Labour, non sono dello stesso avviso, tranne la May ovviamente che, entusiasta dell’intesa, ha dovuto difenderla davanti alla Camera dei Comuni e anche da membri del suo Governo che oggi la contestano, mentre ieri sembrava che avessero scelto «collettivamente», benché dopo asprissime discussioni durate circa cinque ore, di adottare la bozza di accordo definita a Bruxelles. Da stamattina infatti hanno iniziato a piovere su Theresa May una serie di tegole, la prima rappresentata dalla sterlina: la gloriosa moneta britannica è scesa in picchiata rispetto a euro e dollaro, così anche i titoli bancari. Poi le dimissioni dei “dissidenti”: il ministro per la Brexit, Dominic Raab, ha affermato di non poter sostenere l’accordo, perché «il regime normativo proposto per l’Irlanda del Nord rappresenta una vera minaccia all’integrità del Regno Unito»; la responsabile del Lavoro, Esther McVey, brexiters convintissima, è ostile all’accordo perché «non onora il risultato del referendum»; se per il sottosegretario all’Irlanda del Nord, Shailesh Vara, l’accordo lascia il Regno Unito a metà del guado e non dà garanzie sulle relazioni tra Irlanda del Nord e Ue; via anche la sottosegretaria alla Brexit, Suella Braverman, e la sottosegretaria all’Istruzione, Anne-Marie Trevelyan. Nonostante il terremoto politico, la Ue ha rassicurato e espresso chiaramente attraverso il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, che si continua «a lavorare con il nostro partner nei negoziati, il primo ministro May, e con il suo governo». Davanti alla Camera dei Comuni Theresa May ha dichiarato che quello firmato ieri è un accordo importante, ma non finale e che «possiamo scegliere il divorzio senza un accordo o nessuna Brexit o scegliere di unirci e sostenere il miglior accordo che può essere negoziato». Ma non ha convinto: la fronda dei parlamentari Tories contrari all’accordo è arrivata a 80 deputati senza tralasciare le pesanti critiche del Dup, il partito unionista nord-irlandese, essenziale per la tenuta della coalizione di maggioranza, per il quale «l’intesa farà del Regno Unito uno Stato vassallo destinato alla fine a disgregarsi». Il rischio “no deal”, dunque, è tutt’altro che scongiurato. Intanto per il 25 novembre un vertice Ue a 27 perché infatti è necessario anche l’ok dell’Aula di Bruxelles per avallare la bozza di accordo sulla Brexit.