Parafrasando un noto detto, non c’è peggior orbo di chi non vuol vedere. In Italia sembrerebbe aver quasi attecchito la strategia della “propaganda anti governo del cambiamento” che fin dall’inizio, attraverso quotidiani, analisti e commentatori, ha puntato dritto sulle divisioni tra i due partiti, Lega e M5s, al governo, per il quale non a caso e per la prima volta, nella storia istituzionale del nostro Paese, è stato necessario redigere un contratto di programma. Al numero 13 di quest’ultimo è scritto «Immigrazione: rimpatri e stop al business», un punto sul quale il ministro degli Interni non ha fatto sconti a nessuno – appoggiato sia dal Vice Premier Luigi Di Maio sia dal premier Giuseppe Conte – con il fine di imprimere una discontinuità nelle politiche italiane e nei rapporti con l’Europa. La propaganda anti-governo, ancora prima della nascita dell’esecutivo, ha puntato a ingigantire le divisioni tra Lega e M5s, a evidenziare il peso specifico del leader della Lega, come se non fosse un vantaggio per tutto il governo ma solo uno svantaggio per il M5s. Svantaggio che volutamente viene ancora attestato nonostante gli importanti risultati ottenuti da Di Maio nello sblocco della trattativa Ilva, nel decreto dignità, nella durezza nell’affrontare un concessionario come minimo inadempiente, Autostrade, dopo la tragedia del crollo del ponte Morandi a Genova. Perché proprio adesso cadere nella trappola? Perché dare fiato al “battitore libero” Di Battista che dal suo “esilio dorato” ha deciso di sparare cannonate su una parte del governo e indirettamente anche su quella a lui più vicina? Di risposte ce ne sono diverse, ma almeno una è chiara: domani il Parlamento europeo dovrà votare le sanzioni a Victor Orban, il premier ungherese reo di aver infranto i precetti dell’articolo 7 del Trattato comunitario, cioè niente di meno che la «promozione e salvaguardia dei valori dell’Unione europea», e per decidere in merito oggi il M5s è riunito a Bruxelles. Movimento che viene dato come favorevole al sì, voto che segnerebbe una vera, non più solo mediatica, divisione tra Di Maio e Salvini («Voteremo a difesa di Orban»). L’Ue sta cercando a suo modo di dissolvere il vento del cambiamento: o con l’isolamento o con la condanna di quei leader, da Orban a Akesson, che, con sfumature e accenti diversi, chiedono un ritorno alla sovranità degli Stati e una sterzata decisa sull’immigrazione. Oltre che orbi, anche illusi: nessuno può fermare il vento.