di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Un enorme e farsesco specchietto per le allodole. Il Jobs Act che Matteo Renzi ha definito «la misura che ha permesso di recuperare un milione di posti di lavoro» ha in realtà portato a un altro, drammatico effetto, certificato oggi dall’Istat: al record storico dei precari in Italia, che oltrepassa di 105mila unità la soglia dei 3 milioni.
Lo dichiariamo da tempo, e non abbiamo mai smesso di farlo: al nostro Paese non serve soltanto occupazione, ma occupazione dignitosa. Di-gni-to-sa: agli italiani non serve navigare a vista, sbarcare il lunario, accettare le condizioni imposte dai datori di lavoro in ansiosa attesa di essere confermati. Agli italiani servono sicurezze, tutele. La possibilità di pianificare il futuro, di formare una famiglia, di avere quella stabilità che rende possibile mettere a calendario spese, acquisti, entrate e uscite. Agli italiani serve una quotidianità sostenibile e un’esistenza ragionevolmente tranquilla.
Lo scollamento della sinistra italiana dal Paese reale, di cui le elezioni del 4 marzo sono state l’evidente conferma, ha portato i precedenti esecutivi a un errore fatale: puntare a far quadrare soltanto statistiche generiche, tabelle e numeri, senza calarsi nella viva realtà delle persone, delle famiglie. Di coppie che non fanno figli perché non possono garantir loro una stabilità. Il drammatico calo demografico del nostro Paese, il secondo più anziano al mondo, è un grido di aiuto che parla di precarietà, incertezza e scontento. C’è infatti un parametro che non viene calcolato nelle statistiche istituzionali, ma riguarda la vita delle persone ed è un dato fortemente politico: quello della felicità, che è strettamente connesso al senso di stabilità e protezione degli individui. Il premio Nobel per l’economia 2006, Edmund Phelps, ha giustamente sottolineato la necessità di riflettere sulle «fonti dell’infelicità sociale e sul fatto che la priorità oggi è garantire una maggiore inclusione nel mondo del lavoro»: «nella vita di una persona – ha scritto – questa esigenza è cruciale per consentire il suo sviluppo emotivo e il suo benessere complessivo».Come sindacalisti non abbiamo potuto far altro che difendere, in questi anni come nei precedenti, un concetto fondamentale: non si deve soltanto dare lavoro, ma dignità al lavoro. Una tesi da retroguardia e da nostalgici del passato? Tutt’altro. Nessun cambiamento, nessun rilancio, nessuno slancio verso il futuro potrà eludere la questione fondamentale della qualità del lavoro e dei salari. Senza un modello sociale evolutivo migliorativo delle attuali condizioni non riprenderanno nemmeno i consumi, e con essi l’industria, l’economia, il nostro Paese e l’Europa. La nostra è un’Italia in cui, sempre di più, si vive precari e precari, talvolta, si muore. Anche sul lavoro. Un Paese precario è un Paese impaurito, fragile, senza prospettive: serve un Esecutivo che ci traghetti verso un futuro di dignità e crescita.