di Caterina Mangia

Facciamo un break. Prendiamo un coffee. Telefoniamo con lo smartphone. Diciamo ok. Veniamo assunti con il Jobs act. Facciamo un part-time. Godiamo di misure di Welfare. Utilizziamo connessioni wireless per connetterci ai Social Network. Curiamo il nostro outfit. Seguiamo i trend.
Sono tanti gli anglicismi che, più o meno consapevolmente, si sono fatti strada nell’uso comune degli italiani, fino a popolarne in modo strutturale il linguaggio, impoverendo il nostro idioma. Persino le mansioni presenti sui Curriculum Vitae di chi aspira a un nuovo lavoro vengono ritradotte in inglese, perché appaiono, appunto, più “smart”: è così che un responsabile diventa un manager, un addetto all’accoglienza diventa un receptionist,  un venditore diventa promoter, un fattorino diventa rider.
A ribellarsi contro questa tendenza è l’Accademia della Crusca, che dal 1538  custodisce e valorizza “il più bel fior” della lingua italiana: oggetto di una sua “strigliata” è stato recentemente nientemeno che il ministero dell’Istruzione, e nello specifico il Sillabo programmatico, una pubblicazione dello scorso marzo sulla promozione dell’imprenditorialità nelle scuole secondarie di secondo grado.  I linguisti riuniti nell’Accademia Incipit, il gruppo specializzato nel contrasto all’abbandono dell’italiano, hanno infatti parlato dell’«adozione di termini ed espressioni   anglicizzanti non più occasionale, imputabile magari a ingenue  velleità di ‘anglocosmesi’, bensì programmatica, organica e assurge a   modello su cui improntare la formazione dei giovani italiani». Parlando del Sillabo, il gruppo Incipit ammette di guardare «con grande preoccupazione alla lingua con cui tale documento programmatico è stato redatto, tenuto conto della sua importanza all’interno dell’istituzione scolastica». In poche parole: tu vuò fa’ l’americano, ma sì nato in Italì.
Non è la prima volta che il Miur finisce nel mirino delle critiche effettuate dai “guardiani” della lingua di Dante Alighieri: il dicastero è già stato criticato nel 2016 per «la forte propensione del sistema universitario italiano a impiegare termini ed espressioni del mondo economico-aziendale».
Stavolta ha risposto un “piccato” ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli: «non capisco, sinceramente – ha detto rivolgendosi al team di Incipit -, da quali documenti o atti del Miur ricaviate la presunta volontà ministeriale di, cito, “promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana”».
La sua “apologia” è proseguita così: «è sbagliato, secondo me, porre in alternativa l’italiano, il cui valore va non solo difeso, ma anche consolidato e promosso, come ha fatto il Ministero che ho avuto in quest’ultimo anno e mezzo l’onore di guidare e l’’inglese che ritengo debba diventare lingua obbligatoria fin dalla scuola dell’infanzia,insegnato da docenti madrelingua».