di Caterina Mangia

Come sapere se una società gode di un buon livello di benessere economico?
Basta contare il numero di “pancioni” che si incontrano.
La conferma arriva da uno studio del National Bureau of  Economic Research: il tasso di gravidanza è un indicatore economico di gran lunga più predittivo dei consumi o dei prezzi degli immobili. Attenzione, non solo “descrittivo”, ma “predittivo”: secondo la ricerca, effettuata su un campione di 100 milioni di fiocchi azzurri e rosa tra il 1989 e il 2016 negli Stati Uniti, il numero di persone che decidono di imbarcarsi nell’avventura di fare un figlio permette di pronosticare, con un anno di anticipo, quale sia il ciclo economico destinato a presentarsi.
In particolare, il rapporto evidenzia che le ultime tre recessioni statunitensi sono state sempre precedute da un calo dei concepimenti che si è protratto per numerosi mesi  prima dell’arrivo della crisi. I primi segnali di contrazione economica in Usa, si legge nello studio, si sono presentati «nel dicembre 2007, e a quella data le nascite erano già ampiamente in calo».
In poche parole, la diminuzione del numero di gravidanze non è soltanto il simbolo di una società che non si proietta verso l’avvenire, ma è un’importante campanello di allarme economico. Alla luce di ciò, pensando al numero di nascite in Italia vengono i brividi: secondo il report Istat “Natalità e fecondità della popolazione residente – Anno 2016”, diffuso a novembre, i bambini nati nel 2016 sono 12mila in meno rispetto al 2015 e 100mila in meno rispetto al 2008. Un vero e proprio esercito di “culle vuote”, che, se le conclusioni dello studio non sono errate, non lascia presagire un futuro economico roseo.