di Caterina Mangia

Aumenta in modo netto il numero dei lavoratori che restano in attesa di un agognato rinnovo contrattuale.
Lo conferma l’Istat, che scatta la fotografia di un Paese fermo. A giugno i mesi di attesa per coloro a cui è scaduto il ccnl sono in media 65,5, ovvero più di cinque anni: un lasso di tempo molto più lungo rispetto a quello registrato nel 2016 (40,1 mesi).
I dipendenti che aspettano una rideterminazione, inoltre, sono quasi uno su due, il 41,3 per cento del totale, formando un esercito di 5,3 milioni di persone: quindi, non solo l’occupazione scarseggia, ma di coloro che hanno un lavoro, quasi la metà è in attesa di rinnovo.
Insomma, si fa un gran parlare di crescita, ma finché gli italiani restano legati a contratti “scaduti”, senza un adeguamento della parte salariale, c’è da chiedersi come contribuiranno al rilancio dei consumi e, con essi, dell’occupazione e del sistema Paese nel suo complesso.
Nel periodo di aprile-giugno, come si legge sul sito dell’Istat, “sono stati recepiti sette accordi e nessuno è venuto a scadenza”.
A fronte di questo quadro arriva una magrissima consolazione, dello “zero virgola”: a giugno l’indice Istat delle retribuzioni contrattuali orarie è aumentato dello 0,3 per cento rispetto allo stesso mese del 2016. Si tratta dell’incremento più basso riportato da Istat dal 1982, già registrato però nel febbraio di quest’anno.
Prendendo in esame il primo semestre 2017, “la retribuzione oraria media – spiega Istat – è cresciuta dello 0,4 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2016”, mentre resta invariata per il mese precedente.