Perché la Cina può diventare sempre più aggressiva. L’indice dei prezzi al consumo ai minimi da tre mesi. Le contromisure indicate da Pechino non convincono del tutto. E non bastano
Si dice che i mercati siano positivi, ma in realtà sono prudenti nei confronti della Cina. Il fatto è che le contromisure dichiarate dal governo cinese per rilanciare l’economia non hanno convinto. L’indice dei prezzi al consumo si trova ai minimi da tre mesi: un +0,4% (contro il +0,6 di agosto), al di sotto delle previsioni (+0,6%). Peggio ancora l’indice dei prezzi alla produzione sceso ad un ritmo più rapido degli ultimi sei mesi: è in calo del 2,8% su base annua a settembre, rispetto all’1,8% di agosto e addirittura ancora più giù del calo previsto (2,5%). Il pericolo si chiama deflazione e fa molta paura, non solo ai cinesi. Intanto perché vuol dire diminuzione generalizzata dei prezzi, fenomeno che deriva da una crescita negativa o in forte rallentamento. Il segno + davanti al Pil non basta: il mercato immobiliare è in crisi, e sappiamo quanto è importante per qualsiasi economia; la domanda interna, soprattutto, è debole. La Cina pensa di poter combattere la debolezza dei consumi attraverso la politica fiscale. Ma quello che serve è altro. Come, ad esempio, una riforma del welfare. Sì, perché i cinesi, sempre più anziani, sono costretti a risparmiare, quindi a comprare di meno, perché non possono contare su un sistema pensionistico pubblico universale. Problema che si intreccia, pericolosamente, con il calo demografico, dovuto a un basso numero di donne in età fertile, e con l’elevato costo dei figli lungo l’intero arco della vita. I cinesi, ancora, sono costretti a pagare di tasca propria molti altri servizi essenziali come maternità e istruzione. Ma rispetto a una riforma strutturale, che aumenterebbe il costo del lavoro, è molto più facile agire su due fronti. Il primo, sul mercato internazionale: una guerra commerciale di ampia portata, incentivando ancora di più la manifattura – per dire una, l’auto – e le esportazioni. Il secondo, Taiwan, la cui indipendenza è fondamentale per il libero scambio con l’Occidente e soprattutto per il mercato tech statunitense, basti pensare a colossi come Apple, Qualcomm, AMD e Nvidia. Ebbene, le ha chiamate «esercitazioni organizzate» con l’obiettivo di inviare un «severo avvertimento» alle forze «separatiste» dell’isola, ma ormai Pechino non esclude l’uso della forza per riportare Taiwan sotto il proprio controllo. Siamo, ormai, alla quarta escalation e stavolta con, riferisce il network statale Cctv, «aerei da combattimento e bombardieri e altri aerei avanzati che hanno volato sullo Stretto di Taiwan», «diversi cacciatorpedinieri e fregate del Comando navale del Teatro orientale hanno condotto manovre in modo simultaneo».