Gli ingiustificabili attacchi dell’esercito israeliano contro i militari dell’Unifil
di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

L’escalation del conflitto in Medio Oriente ieri ha superato un limite invalicabile con l’attacco dell’Idf contro postazioni della missione Unifil nel sud del Libano, nel quale sono state colpite tre basi, tra cui due gestite dal contingente italiano. L’offensiva ha ferito due caschi blu indonesiani, mentre i soldati italiani sono rimasti fortunatamente illesi. Israele, nell’ambito degli scontri in corso con Hezbollah, aveva chiesto che le forze Unifil si ritirassero di 5 miglia dal confine, richiesta però respinta sia dall’Onu che dall’Italia, per mantenere la propria neutralità nel conflitto. Così, nonostante le postazioni fossero chiaramente identificate, le basi Onu sono state colpite nel corso dei bombardamenti del sud del Libano da parte dello Stato ebraico, alla ricerca di basi di Hezbollah ed in particolare del leader Wafik Safa. Un’azione che ha provocato, come era inevitabile, dure reazioni da parte degli Stati di tutto il mondo e, naturalmente, dell’Onu e del nostro Paese, parte lesa: un atto «inammissibile», secondo il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, «i soldati italiani non si toccano», ha detto Tajani, un «crimine di guerra» intenzionale «in netto contrasto al Diritto Internazionale e in aperta violazione della Risoluzione 1701» e non un errore, per il ministro della Difesa Crosetto, che ha respinto qualsiasi tentativo di minimizzare l’accaduto e ha convocato l’ambasciatore di Israele, Jonathan Peled. Ed oggi le notizie sono quelle di nuovi attacchi. Una situazione estremamente preoccupante da diversi punti di vista. In primo luogo al riguardo della sicurezza del personale militare, internazionale e italiano, al quale esprimo la massima vicinanza, a nome dell’Ugl ed anche a titolo personale, come ex sottufficiale paracadutista del Battaglione San Marco, impegnato proprio nella missione italiana di peacekeeping in Libano. In secondo luogo perché un eventuale ritiro del contingente Unifil significherebbe abbandonare ogni possibilità di controllo internazionale della zona, di supporto ai civili e di aiuto alle forze armate regolari libanesi, così come impone il mandato dell’Onu, dando un sostanziale via libera ad un ulteriore inasprimento del conflitto. È fondamentale, quindi, che non solo l’Italia, ma la comunità internazionale sia unita e adotti misure dal punto di vista militare per proteggere i contingenti Onu e da quello diplomatico per far sì che simili eventi non si ripetano. Lo scenario mediorientale diventa sempre più critico, in un mondo che si fa via via più pericoloso, mentre occorrerebbe percorrere la strada della de-escalation, nell’interesse di tutti.

La missione

Creata con una risoluzione dell’Onu nel 1978 e poi rafforzata nel 2006, la missione internazionale in Libano, ha il mandato di garantire la sicurezza nella zona sud del Paese dei Cedri, al confine con Israele, non solo fornendo assistenza umanitaria ai civili, ma anche supportando le autorità libanesi nel controllo dell’area per impedire la presenza di cellule e depositi militari di Hezbollah. Unifil coinvolge più di 40 Stati, ma l’Italia ha un ruolo guida con un contingente di circa 1.200 soldati, su un totale di 10mila.