di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl
È successo tutto ieri. In un’intervista del giornalista Francesco Verderami, firma di prestigio del Corriere della Sera, l’ex Ragioniere dello Stato, Andrea Monorchio, spiega come avvenne il “prelievo forzoso” sui conti degli italiani nell’estate del 1992. Monorchio era con il presidente del Consiglio, Giuliano Amato, e il ministro delle Finanze, Giovanni Goria, tutti riuniti a Palazzo Chigi per chiudere la manovra finanziaria. Servivano, ovvero mancavano, gli ultimi 8 mila miliardi di lire per portare a termine la manovra correttiva da 30. La decisione del prelievo forzoso, presa da Amato e Goria, fu tenuta segreta. Non furono informati né il presidente della Banca d’Italia, Azeglio Ciampi, né il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Il giorno dopo, al Consiglio dei Ministri, il decreto passa grazie ad uno «scioglilingua» di Amato e all’assenza del prelievo forzoso nel testo del decreto. Una scelta che si ricorda come una vera e propria sciagura, che ha minato profondamente la fiducia degli italiani nei confronti dello Stato e delle sue istituzioni
Così mi ha fatto “un certo” (brutto) effetto leggere alcune parole pronunciate ieri dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, in un’audizione alla Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo (Econ). Cosa ha dichiarato Lagarde? Che in Europa occorre «migliorare il modo in cui risparmiamo», visto che, nel 2022, i risparmi delle famiglie europee «hanno superato gli 1,1 trilioni di euro». Infatti, circa un terzo di tali risparmi sono detenuti in depositi, «significativamente di più alti rispetto agli Stati Uniti». Secondo Lagarde, «mobilitare anche una piccola parte di quei fondi e investirli nei mercati dei capitali europei potrebbe contribuire notevolmente agli oltre 700 miliardi di euro necessari annualmente per raggiungere gli obiettivi strategici chiave dell’Ue». Sì, anche l’Ue è a caccia di capitali, visto che, secondo la stima contenuta nel rapporto di Mario Draghi sulla competitività dell’Ue, servono investimenti aggiuntivi nell’ordine di 750-800 mld di euro all’anno per accorciare il divario rispetto a Usa e Cina, e che, da un calcolo indipendente effettuato dalla Commissione Europea e dalla Banca Centrale Europea, è pari a circa il «5% del Pil europeo». Una stima, quest’ultima, «conservativa», ha spiegato ieri lo stesso Draghi dialogando a Bruxelles con il presidente del think tank Bruegel, Jeromin Zettelmeyer. Vuol dire che ne serviranno ancora di più. Per finanziarie il piano Draghi serviranno soldi pubblici, oltre a quelli privati, ma per finanziare le infrastrutture e i progetti necessari non si potrà contare solo sul bilancio Ue, perché «è troppo piccolo». Dal prelievo forzoso in poi, ritorna spesso, dalla sinistra, l’idea “tormentone” del ricorso ad una patrimoniale.
Si capisce, allora, che i risparmi degli italiani – e quindi anche degli europei – possano ancora e sempre fare gola.