di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Oggi, sul Corriere della Sera, dopo la tre giorni «Il tempo delle donne» tenutasi a Milano, si fa il punto sul tema annoso della parità di genere, con particolare attenzione verso il mondo del lavoro. E ne viene fuori, dati statistici alla mano, che, sebbene ci siano stati dei passi in avanti, la situazione resta insoddisfacente al confronto con gli altri Stati europei. In Italia, sono occupate solo il 52% delle donne contro il 70% degli uomini, il gap retributivo si attesta al 15,4% e su 100 dirigenti, solo 21 sono donne, mentre i restanti 79 sono uomini. Per il 54% degli italiani c’è ancora un deficit di uguaglianza nel mondo del lavoro, percentuale che sale al 58% per quanto riguarda la parità nelle imprese e al 61% nelle istituzioni politiche. Sebbene l’eguaglianza di genere sia ampiamente riconosciuta come un diritto fondamentale e sia ormai trasversalmente condivisa anche l’idea che l’occupazione femminile faccia bene sia all’economia che alla natalità, manca, in Italia, una forte richiesta, da parte dei movimenti femminili e della società civile, di adeguate misure di conciliazione fra lavoro e vita privata. Eppure le richieste da fare sarebbero molte: investire di più, dato che la spesa per famiglie e infanzia rimane tra le più basse d’Europa, ideare forme di supporto al lavoro femminile ed alla natalità più flessibili e moderne, prendendo spunto da quanto accade nei Paesi più virtuosi, trasformare i cosiddetti tempi delle città e dei servizi, per venire incontro alle esigenze della società contemporanea. Certo, come sappiamo, l’Italia deve fare i conti, lo vediamo anche ora nel momento della stesura della manovra finanziaria, con le proprie disponibilità economiche e quindi cambiare le cose non è semplice. Ma, forse, alla base di questa mancanza di attenzione nei confronti della facilitazione dei rapporti fra esigenze lavorative e familiari c’è altro. Un problema di tipo culturale. Da tempo la famiglia è stata descritta, a sinistra, come un retaggio anacronistico del passato, per le donne soprattutto, cercando di indirizzare la narrazione dominante sulla necessità di superare il collegamento fra femminilità e maternità. Se, certamente, non bisogna cadere negli stereotipi del passato, che volevano la donna per natura legata alla famiglia e se è doveroso il coinvolgimento maschile nei compiti di cura, si è però andati verso un cliché ideologicamente opposto, ma altrettanto controproducente per la causa dell’emancipazione femminile. Non riconoscendo il nesso, empiricamente evidente, fra misure di conciliazione e qualità e quantità dell’occupazione femminile, per molti anni non si è voluto puntare su questo aspetto, fondamentale, delle politiche per le pari opportunità, ed i risultati, ora, sono quelli, insoddisfacenti, di cui sopra. Partire dalle vere esigenze delle donne, accantonando gli ideologismi per preferire un più sano pragmatismo, potrebbe essere la strada migliore da percorrere nel presente e nel futuro.