di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Avevano detto che sarebbe stato un duello televisivo in grado di spostare voti e che le differenze di età, oltre a quelle di genere e di colore, tra i due candidati sarebbero state dirimenti. Il dibattito Tv tra i due candidati alla presidenza Usa, l’ex presidente Donald Trump e la vicepresidente Kamala Harris, non è riuscito alla fine a spostare gli indecisi e a confermare la seconda come candidata favorita.

Quegli stessi commentatori che hanno assegnato la vittoria ad una grintosa e disinvolta Kamala, vincente più che altro a causa di alcune “improvvisazioni” di Donald, non sono in grado di scommettere che il vantaggio, conquistato davanti alle telecamere, si possa trasformare in vantaggio alle urne. Ciò che agli elettori americani interessa di più, l’economia e, di rimbalzo, le guerre, intese come (insopportabile) impegno militare ed economico che grava sulle loro tasche e sui militari Usa, restano cavalli di battaglia di Donald Trump. Il quale non ha mancato di sottolineare che almeno un conflitto, quello in Ucraina, con Trump alla presidenza non sarebbe mai scoppiato; che l’inflazione – così come le conseguenti scelte delle Banche Centrali di combatterla alzando pesantemente il costo del denaro – è cresciuta sotto l’amministrazione Biden-Harris; che – come ricorda Federico Rampini – i dazi applicati dall’amministrazione Biden alla Cina ricalcano quelli di Trump.

È soprattutto in materia di immigrazione clandestina, tema altrettanto sentito, che si evidenziano le contraddizioni di Harris e dei democratici. Nonché delle “sinistre” tutte se guardiamo al problema irrisolto in Ue e a quello che accade ora in Germania. Dopo tre anni disastrosi, con 2 milioni di irregolari l’anno, i democratici hanno presentato una proposta di legge, che, è vero, non ha ricevuto il “sì” del Congresso anche a causa dei Repubblicani, ma conteneva misure trumpiane, come il blocco dei procedimenti di asilo, il respingimento immediato, la chiusura del confine con il Messico. Senza dimenticare la svolta in California contro gli accampamenti di homeless.

Su Harris, più interessata a farsi conoscere, a marcare la differenza di genere e di età con l’avversario, a mettere in difficoltà Trump su alcuni temi, come l’aborto e i diritti delle donne, a sottolineare la distanza con l’attuale presidente Joe Biden, pesa il fatto incontrovertibile che ciò che oggi può promettere, in realtà lo avrebbe già potuto/dovuto realizzare ieri.

L’unica vera speranza dei democratici di prevalere sui repubblicani ha, sì, nome e cognome, ma è quello di una cantante: Taylor Swift. Fenomeno con vendite stimate intorno ai 170-200 milioni di copie a livello globale, tra album e singoli digitali, e soprattutto con 283 milioni di follower, ha espresso su Instagram, al termine del dibattitto, un chiaro endorsement a favore di Harris. Basterà una canzone per nascondere il tentativo dei democratici di copiare Trump per battere Trump?