di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL
Lo stabilimento siderurgico Arvedi di Terni (ex Ast) a fine settembre manda circa 200 lavoratori in cassa integrazione per lo stop di uno dei due forni elettrici. Dal 1° gennaio al 31 luglio lo stabilimento ha dovuto pagare l’energia elettrica mediamente 97 euro per megawattora. Cifra ragguardevole in sé e ancora di più se confrontata con quella versata dai francesi che ne pagano 21 per megawattora, 32 dai tedeschi, 35 dai finlandesi e 62 dagli spagnoli, nostri diretti concorrenti. Mettiamoci anche che, nonostante i dazi, i prodotti provenienti dall’Asia costano il 15% in meno dei nostri.
L’alto costo dell’energia in Italia è un problema, che non esiste da oggi, ma resta attuale, urgente, ineludibile, insomma da risolvere. Infatti, l’energia elettrica prodotta in Italia è talmente cara da aver indotto le imprese ad acquistare il 22% del fabbisogno, nel I trimestre del 2024, attraverso le importazioni (dati Terna).
Cosa fare, allora? Guardiamo alla Francia, cioè alla Nazione con il più basso prezzo dell’energia elettrica per megawattora, grazie alle sue 19 centrali nucleari, che le consentono anche di avere sempre un surplus di elettricità a prezzi più contenuti.
Con il nucleare, però, sorge sempre un problema ideologico sia in Italia sia in Europa, a causa di un pregiudizio duro a morire. Non a caso Mario Draghi ha inserito tra le 170 proposte del suo corposo rapporto sulla competitività, presentato ieri, anche quella di mantenere l’approvvigionamento nucleare e accelerare lo sviluppo del nuovo nucleare, cioè dei cosiddetti piccoli reattori modulati (Smr; Ndr).
Come la pensano in merito – domanda retorica – i fautori e i tifosi del Green Deal, che tanti danni ha prodotto e altri ancora potrebbe produrne, poiché aderisce ad un impianto e ad una visione ideologica delle questioni e delle soluzioni mirate a difendere l’ambiente? C’è una novità: la presidente Ursula Von der Leyen avrebbe rinviato la presentazione della nuova Commissione Ue, cioè l’annuncio della nuova squadra, atteso per domani, non solo a causa dei ripensamenti di alcuni governi rispetto ad alcuni candidati, ma anche perché un dossier importante come quello del Green Deal, che tanti problemi potrebbe porre in futuro, potrebbe essere affidato, invece che ai socialisti rappresentati dal ministro spagnolo della Transizione ecologica, Teresa Ribera, intenzionata a raddoppiare l’impegno per il clima, ad un rappresentante dei popolari e quindi al centrodestra al fine di disinnescare l’accelerazione sulla transizione ecologica. Scelta che farebbe nettamente la differenza.
Il caso Arvedi, come molti altri, dimostra che non abbiamo bisogno, in Italia e in Europa, di approcci ideologici e oltranzisti, ma di soluzioni vere che siano ancorate alla realtà e al buon senso.