di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Viviamo in tempi particolari, tra conflitti veri e propri e guerre «fredde» come non accadeva dalla caduta del Muro di Berlino. Si pensava che la storia fosse al termine e che il mondo globalizzato avrebbe permesso, al massimo, scontri commerciali. Non è andata così ed oggi la tensione fra Oriente e Occidente è alle stelle, compresa anche la minaccia costante dell’estremismo islamico, come dimostra il recente attentato in Germania. In una situazione simile, uno dei temi chiave della politica consiste nel trovare un equilibrio fra sicurezza e libertà. Rientra in questo ambito la questione Telegram. Il miliardario russo, con cittadinanza francese, Pavel Durov, fondatore ed amministratore dell’app di messaggistica, è stato arrestato in Francia, con l’accusa di essere complice di attività illegali. L’imputazione, quella di favorire, con il suo sistema di comunicazione libero e privo di moderazione, scambi di informazioni fra terroristi, criminali ed altri soggetti dediti ad attività illecite e di non collaborare con le forze dell’ordine nelle indagini e nella rimozione di contenuti dannosi. Pochi anni fa, nel 2014, lo stesso Durov era stato costretto a lasciare il suo Paese natale, la Russia, dopo essersi rifiutato di consegnare alle autorità dati sull’Ucraina contenuti in un’altra sua creazione, il social network VK, molto usato nell’Est Europa. Questa doppia accusa, sia da parte di uno Stato occidentale come la Francia che, prima, dalla Russia – ma molti altri Paesi, ad esempio l’Iran, contestano Telegram – fa comprendere la delicatezza del problema. Si tratta di una questione spinosa: la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nelle società democratiche sono considerate inviolabili. Nel caso italiano, ad esempio, sono tutelate dall’articolo 15 della Costituzione. E, come prosegue l’articolo del nostro testo fondamentale – simile del resto alle disposizioni di legge dei Paesi in cui vige lo Stato di Diritto – la limitazione di questa libertà può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Insomma, è illegale controllare a priori gli scambi di comunicazioni, che siano telefonici, scritti o anche via app di messaggistica a meno che ciò non avvenga nell’ambito di un’indagine, con le modalità e le tutele chiarite dalla legge. Non esiste – o almeno non dovrebbe esistere – una sorta di «grande fratello» autorizzato a monitorare le conversazioni di tutti i cittadini per rilevare potenziali illeciti prima che vengano commessi, sarebbe un’inaccettabile limitazione dei diritti, potenzialmente molto pericolosa perché non colpirebbe solo malviventi e terroristi, ma anche gli oppositori politici. Tuttavia è anche vero che i sistemi di comunicazione devono collaborare con le forze dell’ordine in caso di indagini su attività criminali. Un discrimine sottile, ma fondamentale.