di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Oggi su Panorama si parla dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro, con numeri che dimostrano come questo tema sia cruciale: secondo studi Ue, il 14% dei posti di lavoro Ocse sarebbe completamente automatizzabile e un altro 32% potrebbe subire importanti trasformazioni. Per il Fmi, il 60% delle professioni nelle economie avanzate è a rischio. Solo in Italia potrebbero essere circa 4 milioni i posti insidiati dall’intelligenza artificiale. L’IA è destinata ad influenzare i vari settori produttivi ed occupazionali con gradi di intensità diversi e, in particolare, potrebbe colpire maggiormente i lavori intellettuali rispetto a quelli manuali, con quella che viene definita una «rivincita dei blue collar». Per prime, sono a rischio le professioni intellettuali a minor valore aggiunto, con mansioni ripetitive e prevedibili, come il personale addetto alla contabilità, alle consegne, alle casse dei negozi, ma anche chi svolge compiti di cura. Potrebbe esserci anche un forte impatto sull’occupazione pubblica: la ricerca citata nell’articolo indica che 218mila dipendenti pubblici potrebbero essere sostituiti in futuro dall’IA. Per scongiurare le ripercussioni sociali di questa transizione tecnologica è decisivo un dialogo continuo tra governo e sindacati per individuare misure che garantiscano protezione, riqualificazione professionale e reinserimento lavorativo, ma anche, per le giovani generazioni, per avviare una formazione tarata su quelle che, invece, saranno le nuove professionalità richieste dall’uso dell’IA. Chiaramente il rischio maggiore consiste nel fatto che queste nuove opportunità lavorative non siano numericamente sufficienti a compensare la perdita di posti di lavoro tradizionali. Servono, quindi, non solo politiche attive del lavoro che supportino l’integrazione dei lavoratori assicurando che nessuno venga lasciato indietro, ma anche politiche industriali che rendano il nostro Paese più competitivo nel mercato del lavoro contemporaneo, in modo che non venga meno la domanda di lavoro. C’è poi anche un altro tema, più squisitamente politico, ovvero il fatto che l’IA potrebbe sostituire anche i lavori ad alta specializzazione. Il problema in questo caso è duplice: non solo di tipo sociale per i lavoratori coinvolti, ma anche di tipo culturale, con il venir meno della creatività e del senso critico umano, che lascerebbe il posto ad una produzione intellettuale automatica ed acritica. Occorre affrontare con lungimiranza questo cambiamento in atto, proteggendo i lavoratori vulnerabili e procedendo alla riqualificazione professionale, procedendo però verso una modernizzazione del nostro sistema produttivo, Pmi comprese, anche mediante incentivi per adottare tecnologie avanzate senza compromettere l’occupazione, ed, infine, salvaguardando la produzione umana di contenuti culturali originali.