di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Il fatto che lo “tsunami” – come lo hanno descritto diversi quotidiani – dell’ondata di destra, grazie ai risultati di Rn, Afd e Fpo, arrivato da Francia, Austria e Germania, nonché anche dai partiti della maggioranza di governo italiana, non sia del tutto sufficiente a sfondare e quindi a impedire il ricostituirsi di una “maggioranza Ursula”, non equivale ad affermare che quel paradigma politico e soprattutto quella visione dell’Europa del futuro debbano rimanere inalterati. Dalle dichiarazioni odierne di von der Leyen e Scholz, sembrerebbe non essere cambiato nulla da prima del voto. Ma sarebbe un grande errore.
Secondo l’ultima proiezione della composizione del Parlamento europeo, il Partito popolare europeo (Ppe) è a 186 seggi (13 in più di quanti ne ha attualmente a fine legislatura), il gruppo dei Socialisti e democratici a 135 (in calo di 4 seggi) e il gruppo Renew a 79 (23 in meno rispetto a quanti ne ha con il Parlamento uscente), quindi la “maggioranza Ursula” raggiunge 400 eurodeputati che dovrebbero essere disposti a sostenere, almeno sulla carta, un secondo mandato di Ursula von der Leyen.
Ma non è questa l’unica “maggioranza Ursula” possibile e sono già iniziate, sotterraneamente, le trattative tra i vari gruppi parlamentari per la composizione della prossima alleanza, che andrà a sostenere la prossima legislatura e la prossima Commissione.
Secondo le proiezioni per il nuovo Parlamento europeo, la fazione degli ambientalisti è passata dal quarto al sesto posto, contemporaneamente a un deciso e ampio spostamento a destra. Flessione, quella dei verdi, che si è verificata in modo eclatante nella roccaforte tedesca, in Germania, dove la quota di voti è arrivata quasi a dimezzarsi, e anche in Francia, con un calo della stessa entità. In Italia l’Alleanza Verdi e Sinistra deve molto alla pioggia di preferenze piovuta sulla candidata Ilaria Salis, figura che con l’ambientalismo, e non solo, ha ben poco a che fare.
Tutto ciò non può fare altro che essere la premessa per un cambiamento nelle politiche climatiche europee, con misure e norme che devono andare non a sconfessare l’impegno per affrontare le tante emergenze climatiche, ma a sostenere una transizione verde “a misura d’uomo”, che non vada a discapito delle famiglie e dei lavoratori più poveri, che si trovano in una posizione di rischio anche per la transizione tecnologica, dei milioni di poveri che vivono in Europa e di quanti con moltissima fatica sono riusciti a mettere su una casa o a comprarsi una macchina.
Insomma, non può più essere un’Europa delle élite, come fino a oggi è stata, e non può non tenere conto del messaggio che, come uno tsunami, è arrivato dalle urne e che dovrebbe portare ad un ripensamento di alcune scelte che, anche in questi stessi giorni, si stanno attuando in complessi scenari di guerra come quello in Ucraina.