di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Dal taglio del cuneo fiscale alla contrattazione, dai migranti alla sanità, ai partiti del centrosinistra non è rimasto più nulla di dire contro il centrodestra al governo se non lanciare allarmi di eversione o di ritorno al bavaglio, nonostante alcuni dei quali, peraltro, come nel caso di Roberto Saviano alla Fiera del Libro di Francoforte, si siano rivelati infondati.
Dal centrosinistra, è un continuo lanciare accuse al centrodestra di non risolvere i problemi, persino mentre il Consiglio dei Ministri vara, come oggi, un dl sul taglio delle liste di attesa nella Sanità pubblica, devastata in decenni di politiche supine ai diktat dell’equilibrio dei conti pubblici e rivalutata solo “grazie” alla pandemia da Covid 19.
Altro caso eclatante, quello dei salari italiani, che, come denunciamo da sempre noi dell’UGL, sono inadeguati sia in termini di potere d’acquisto sia nel confronto con i salari degli altri partner europei.
Bene ha fatto e bene ha detto il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, quando sottolinea la sua massima attenzione al tema, a favore del quale dal 2024, sono entrati in vigore il taglio del cuneo fiscale e la riforma dell’Irpef. Misure che sono ancora non sufficienti? È logico, visto che è dal 2000 che gli stipendi italiani hanno iniziato a perdere consistenza.
Il paradosso è che debba essere, oggi, un premier a difendere il valore e l’importanza della contrattazione collettiva e a rivendicare che, quando il centrodestra è arrivato al governo, circa il 54% dei lavoratori italiani aspettava il rinnovo del contratto, mentre oggi ad attendere è il 35%. Altro paradosso è che a invocare il salario minimo, misura che mortifica il ruolo e la specificità delle parti sociali, siano organizzazioni sindacali firmatarie di ogni tipo di contratto e un centrosinistra orami a corto di idee, se non quella di andare “contro a prescindere” l’avversario al governo, “dimenticandosi” che, quando governava, quello stesso salario minimo non lo ha voluto.
Come UGL continuiamo a che il salario minimo legale è un bluff e che è una misura di compromesso al ribasso, capace di peggiorare i salari mediani e di depotenziare la contrattazione collettiva, che nel nostro Paese disciplina oltre il 90% dei lavoratori e che regola aspetti fondamentali come l’organizzazione e l’orario di lavoro, la progressione di carriera, la previdenza e il welfare.
Il diritto al lavoro e a un lavoro dignitoso, principi sanciti dall’art.36 della Costituzione, si difendono soltanto con la buona contrattazione e il welfare aziendale. Resta quindi prioritario rafforzare uno strumento centrale come il CCNL e rilanciare la contrattazione di secondo livello aziendale.