di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La riforma della giustizia, presentata dal Premier Meloni e dal Ministro della Giustizia Nordio ed approvata dal Consiglio dei Ministri, rappresenta un evento di portata storica per il nostro Paese, perché ha l’obiettivo di garantire una maggiore autonomia e indipendenza della magistratura, creando una chiara distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti. Una riforma che dovrà seguire, come tutte quelle di livello costituzionale, un iter lungo e complesso, che forse dovrà anche essere ratificata tramite referendum popolare, in base a come si svolgeranno i vari step parlamentari per la sua approvazione definitiva, che probabilmente sarà ulteriormente limata in corso d’opera, ma che comunque, quando, come auspicabile, andrà in porto, rappresenterà un vero punto d’arrivo nell’attuazione del programma di riforme prima sottoposto agli elettori e poi messo in atto dal Governo, assieme all’altra riforma costituzionale, quella sul premierato, entrambe in grado finalmente di correggere alcune profonde storture del nostro sistema Istituzionale. Punti essenziali sono la separazione delle carriere dei magistrati, fra giudici e pm, fin dall’inizio e senza possibilità di cambiare ruolo, la creazione di un doppio Consiglio superiore della magistratura, uno per i giudici e l’altro per i pm, entrambi presieduti dal Capo dello Stato, con membri selezionati tramite sorteggio da un elenco compilato dal Parlamento e dai magistrati e non più eletti tramite il sistema piuttosto discutibile delle correnti, infine un nuovo organo, un’Alta corte con il compito di comminare eventuali sanzioni disciplinari nei confronti dei magistrati stessi. Cambiamenti necessari, eppure la riforma appena presentata è già oggetto di polemiche, non solo da parte dell’opposizione, ma persino degli stessi magistrati, o meglio dell’Anm, che afferma che questa nuova organizzazione della giustizia ne minerebbe l’autonomia dalla politica. Una critica, francamente, inadeguata rispetto ad un testo che, prevedendo – sulla base di requisiti atti a garantire la competenza sia dei membri laici che togati dei due nuovi Csm – il sorteggio al posto dell’elezione, non sembra affatto legare più strettamente giustizia e politica, ma esattamente il contrario, basando le nomine sulla competenza e sul sorteggio e non sull’appartenenza a correnti politiche, questa sì una forzatura rispetto al diritto, ma anche dovere, di indipendenza della magistratura. Forse, per chiarire definitivamente i termini del dibattito e le cause della necessità e urgenza della riforma, senza citare i tanti recenti scandali giudiziari, bisognerebbe ripartire dai fondamentali della democrazia: è alla sovranità popolare e quindi al Parlamento da questa eletto che spetta il compito di legiferare ed ai giudici quello di verificare l’applicazione delle leggi stesse, non di contestarle per ragioni di tipo politico.