di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

In questo periodo, sospeso fra elezioni europee e riforma costituzionale, è in discussione l’articolo 59 della Costituzione, quello che disciplina la nomina dei senatori a vita. Una norma da sempre considerata piuttosto discutibile. Innanzitutto fumosa, con la dicitura «il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque», che non ha chiarito se si intendesse per ogni Presidente della Repubblica o in totale, fino al 2020, quando, con l’introduzione della legge costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari, da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori, si è finalmente stabilita la regola del numero totale di cinque. Senza, però, considerare gli ex Presidenti della Repubblica, senatori a vita di diritto. Attualmente, dopo la morte di Giorgio Napolitano, comunque, sono in carica cinque senatori a vita: Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia, nominati da Napolitano, e Liliana Segre, nominata da Mattarella. C’è da dire, poi, che questa figura del nostro ordinamento è un unicum: da nessun’altra parte del mondo, Russia esclusa, è prevista una carica non elettiva e senza termine di mandato che però abbia il potere di votare le leggi e conferire o meno la fiducia ai governi. Ed in svariate occasioni molti senatori a vita hanno scelto di fare pieno uso dei propri poteri con finalità prettamente politiche e di non essere, come sarebbe stato più opportuno, super partes. Fatto sta che nella nostra Camera Alta il 2,5% dei membri risulta non eletto, una percentuale capace di condizionare la vita politica del Paese. In attesa del voto sul ddl Premierato, che dovrebbe avvenire il prossimo 18 giugno, ed in aperto contrasto con la ratio della riforma, intenzionata a stringere il legame fra elettori ed eletti con la designazione diretta del Presidente del Consiglio e quindi cancellare queste figure ormai desuete, è spuntata a sinistra – da Pd ed AVS, ma anche dal M5s, ovvero il partito che andava in tutt’altra direzione, ideatore della riduzione dei parlamentari e promotore dell’abolizione dei senatori a vita – l’idea di aumentarne il numero, addirittura raddoppiarlo. Una proposta che lascia francamente perplessi. Perché dipinge il Presidente della Repubblica non come un arbitro, ma come parte di uno degli schieramenti, a danno della stessa immagine del Capo dello Stato. Perché va in controtendenza rispetto alla volontà di stringere il rapporto fra cittadini ed Istituzioni democraticamente elette. Perché vorrebbe aumentare la percentuale di non eletti a Palazzo Madama, che in tal modo salirebbe al 5%, una soglia capace di alterare le scelte dei cittadini, dando a pochi personaggi, per quanto «illustri», non votati, una forza pari a quella di un partito da un milione di voti, come giustamente ha sottolineato Lucio Malan. Un’ipotesi francamente inaccettabile e profondamente antidemocratica.