di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il 23 maggio del 1992, 32 anni fa, l’Italia fu teatro di un fatto atroce: la strage di Capaci, nella quale furono assassinati il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, stimato magistrato, e tre membri della scorta: Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. L’attentato, come poi appurarono le indagini, fu organizzato dal boss mafioso Salvatore Riina, che fece posizionare lungo il tratto dell’autostrada A29 tra l’aeroporto di Punta Raisi e Palermo cinquecento chili di tritolo, che esplosero al passaggio del giudice, generando un’onda d’urto impressionante e una voragine simile a un cratere, tanto che la deflagrazione venne avvertita anche dai sismografi dell’Osservatorio Geofisico di Monte Cammarata. Questo evento, di ferocia straordinaria, e quanto ne conseguì, a partire dall’assassinio, avvenuto solo due mesi dopo, del collega e amico di Falcone, Paolo Borsellino, e della sua scorta, deve essere ricordato dal nostro Paese come monito perenne. Fu infatti uno spartiacque nella lunga e difficile lotta contro la mafia, che agì con tale violenza perché temeva il metodo messo a punto da Falcone e Borsellino: lo studio del fenomeno mafioso e la collaborazione dei pentiti, il pool antimafia, il maxi-processo contro Cosa Nostra, la fondazione della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia. Tutti strumenti che consentirono una migliore risposta dello Stato alla criminalità organizzata, assieme al “nuovo 41-bis”, il carcere duro per i mafiosi, che venne introdotto proprio dopo la strage di Capaci, con la legge 356 del 1992, una norma all’inizio di carattere temporaneo e poi resa stabile nel 2002 dal secondo governo Berlusconi. A distanza di tanti anni, come affermato oggi dal Presidente Mattarella, la strage di Capaci, assieme a quella di Via D’Amelio, continuano ad insegnarci che da un lato, come sostenevano Falcone e Borsellino, la mafia può essere sconfitta, ma, dall’altro, che bisogna sempre mantenere alta la guardia contro la criminalità organizzata, vecchia e nuova, e che occorre un impegno costante nel combatterla. Questo il senso del Giorno della Legalità che si celebra oggi per commemorare chi si è eroicamente sacrificato nella lotta contro il malaffare, ricordare tutte le vittime, ribadire l’impegno contro la mafia e diffondere tra le giovani generazioni una piena coscienza civile. Come sindacato non possiamo che sottolineare l’importanza della legalità anche nel mondo del lavoro, ricordando che, in questo ambito, mafia significa sfruttamento e caporalato, distorsione di denaro pubblico, mediante le infiltrazioni nelle istituzioni, che dovrebbe invece essere utilizzato per il welfare ed i servizi, creazione di un ambiente violento ed oppressivo, ostile alla libertà di impresa, alla crescita economica, sociale ed occupazionale ed alla creazione di benessere diffuso.