di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale

Si può essere interlocutori autorevoli e credibili nei confronti dell’Europa e si può contrastarne le politiche. È quello che fino ad oggi, e ancora di più in un weekend, politicamente e geopoliticamente molto rilevante, ha dimostrato il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, intervenendo in occasione della convention Vox a Madrid. Meno di una settimana fa, anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha dichiarato, senza giri di parole, che il perdurante fenomeno dei bassi salari in Italia, fanalino di coda in Ue, è “effetto collaterale” della perdita di sovranità monetaria. Anche se l’Istat ha indicato la causa nell’aumento del lavoro part-time e nella diffusione di tipologie di contratto meno tutelate, cioè nella precarietà, sappiamo che entrambe le cause, perdita di sovranità monetaria e precarietà, vanno ricondotte nel solco delle politiche imposte in decenni da un paradigma politico ben preciso, quello dei socialisti e democratici.
Sarà ora di cambiare a Bruxelles? Domanda retorica e non tanto o soltanto per il gusto, fine a sé stesso, di cambiare, ma perché il cambiamento urge e basta. Perché, come sappiamo oggi da una ricerca del Censis-Cida, il ceto medio teme il declassamento o perché, secondo l’Istat, il 34% dei giovanissimi immagina un futuro all’estero. Non c’è tempo da perdere.
È lo stesso schieramento, democratici e socialisti, che, nel mezzo di una pandemia e senza un confronto con le imprese coinvolte direttamente e indirettamente da una transizione senza precedenti, il 14 luglio 2021, ha adottato il pacchetto “Fit for 55”, stabilendo come nuovo obiettivo UE la riduzione minima del 55% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. A cui si sono aggiunti, nel corso del tempo, altri interventi normativi in tema di riciclo, di imballaggi, di agricoltura che tanta sollevazione popolare, mai vista prima, ha scatenato, di agroalimentare, fino ad arrivare alla questione, che per i Democratici e Socialisti, è altrettanto centrale, quella dei diritti civili. Un tema che va ben al di là del diritto delle minoranze di essere rispettate e rappresentate. Sullo sfondo, si fa per dire, due guerre che sembrano infinite e che vedono l’Ue sempre ai margini.
Quelle pronunciate da Giorgia Meloni e da Marine Le Pen, presidente del Rassemblement National, sono molto più di una speranza sia per i punti in comune dei rispettivi programmi sia perché un cambiamento non è solo auspicabile o possibile, ma necessario. Lo sanno anche i Democratici e Socialisti, soprattutto italiani, che, in occasione del voto sulla riforma del Patto di Stabilità, hanno votato in ordine sparso, tra astensioni e voti contrari, tanto da far dichiarare al Commissario all’Economia, Paolo Gentiloni: «Abbiamo unito la politica italiana».
È evidente: loro non ci credono più, è il momento per il centro destra di credere fino in fondo di poter e, soprattutto, di dover vincere.