di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl
Sul quotidiano IlSole24Ore, Morya Longo, esperto di mercati finanziari, oggi riferisce che negli Usa, a fronte di un ormai prossimo record di Wall Street, grazie all’andamento “a gonfie vele” di aziende Big Tech, Banche e altri settori trainanti, ci sono altre imprese che, dipendendo dalle scelte dei consumatori, se la passano non altrettanto bene. La Borsa americana sta rispecchiando, sempre secondo l’economista, una vera e propria spaccatura esistente nella società americana, dove, da una parte, una popolazione legata ai settori più trainanti è stabilmente ricca o benestante, mentre un’altra, quella dei salari medio-bassi, sta mostrando grande sofferenza nel fronteggiare mutui e debiti, che si riverbera sul livello di fiducia, ovviamente in calo tra i consumatori “più fragili”. Le imprese, coinvolte dal fenomeno, stanno cercando soluzioni diverse, in alcuni casi anche opposte, per affrontare la situazione: chi abbassando sempre più i listini dei prezzi, come McDonald ad esempio, chi alzandoli per fronteggiare il calo di clienti. Il punto fondamentale è che una parte della società americana riesce a fronteggiare il ritmo dell’inflazione e dei tassi di interesse elevati, mentre un’altra, oltre a soffrire, sta facendo soffrire colossi come Uber, ad esempio.
Una situazione alla quale si deve guardare con molta attenzione, perché è specchio di una spaccatura caratterizzante tutte le società occidentali. La povertà, come sappiamo, non è solo di pertinenza dei Paesi in via di sviluppo, e sempre più i poveri, per giunta con lavoro e stipendio, sono tanti, troppi, nei Paesi avanzati, rischiando addirittura di aumentare sempre di più sotto la spinta di fenomeni apparentemente inarrestabili, quali l’intelligenza artificiale e la transizione ecologica, se non adeguatamente governati.
In Italia, ad esempio, Paese in cui alcuni indicatori importanti sono positivi, come l’occupazione ad esempio, è stato pubblicato dal quotidiano MF l’ennesimo studio – ennesimo perché anche noi dell’UGL in merito abbiamo diffuso rilevazioni – che rivela come negli ultimi 4 anni gli stipendi reali nel nostro Paese siano calati dell’8%, mentre nell’Eurozona il calo è pari al -3%. A tale risultato hanno contribuito rinnovi contrattuali non al passo del ritmo dell’inflazione, e non, a mio avviso, come si sostiene nell’articolo, per l’assenza di un salario minimo. Da molti anni, l’Italia in Ue è fanalino di coda in tema di stipendi e su tutto ciò si è abbattuta anche e la lente di ingrandimento della Bce che, nell’ultimo anno, ha fatto di tutto per evitare l’aggancio tra inflazione e salari. Aggancio difficile in Italia, dove a causa dei bassi salari si rischia di frenare la ripresa. Anche in Italia, guarda caso, la fiducia dei consumatori a marzo 2024 ha registrato un sensibile calo, da 97,0 a 96,5 punti, mentre quella delle imprese è salita, da 95,9 a 97,0 punti.
Queste sempre più evidenti spaccature, nella società e “tra mercati e salari”, che si stanno rivelando nelle società occidentali, rappresentano la sfida che attende tutti, non soltanto noi sindacalisti.